Centinaia di indios brasiliani di etnia Terena hanno occupato un’enorme fazenda di 12 mila ettari, la “Esperança”, ad Aquidauana nello stato del Mato Grosso, di proprietà di un politico locale.

La fazenda si trova nel Pantanal, la più grande zona umida del mondo, una biosfera considerata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Vicina ai confini con Bolivia e Paraguay, la regione è una delle più grandi produttrici di soia dell’intero Brasile. Una regione preziosa, oggi come nel passato, che per gli indios racchiude un’antica e fortissima simbologia della Madre terra e della natura.
La scorsa settimana questi stessi indios avevano occupato un’altra fazenda della regione, a Sidrolândia e gli scontri con la polizia sono stati violentissimi. Uno dei manifestanti è stato ucciso, otto i feriti mentre le gli agenti cercavano di disperdere gli occupanti.
I poliziotti si giustificano dicendo di essere stati aggrediti con frecce ed archi.

Nella fazenda Esperança la situazione rimane tesa. Secondo il Consiglio indigenista missionario, uno studio della Fondazione nazionale dell’Indio avrebbe dimostrato e riconosciuto che 33’000 ettari di tutta questa regione sono terra indigena tradizionale e che sarebbe imminente l’ampliamento della riserva Taunay Ipeg in grado di accogliere circa 6’000 indios.

Il problema della restituzione delle terre agli indios è diventato una spina nel fianco per il governo brasiliano che pure ha sempre cercato, già ai tempi dell’ex presidente Lula, un dialogo con le comunità locali.
In molti casi gli interessi economici sembrano avere la meglio, come è il caso dei circa 150 indios che lottano da tempo contro la costruzione della mega-diga Belo Monte a Vitoria do Xingu, nella regione sud-est dello Stato amazzonico del Pará. Rivendicano il diritto di essere consultati in anticipo sui rischi ambientali.