Il prof. Carlo Lepori, granconsigliere socialista e municipale di Capriasca, attivo in favore dell’iniziativa contro l’obbligo di servire, ci manda questo articolo che volentieri pubblichiamo. 


L’iniziativa «Sì all’abolizione del servizio militare obbligatorio» non tocca il principio dell’esercito di milizia, espresso chiaramente nel 1. capoverso dell’art. 58 della Costituzione federale «La Svizzera ha un esercito. L’esercito svizzero è organizzato fondamentalmente secondo il principio di milizia»; non è quindi corretto affermare che l’obiettivo della stessa sia l’abolizione dell’esercito!

La proposta in votazione si limita a modificare l’art. 59, prevedendo al 2. capoverso che «Nessuno può essere obbligato al servizio militare. La Svizzera ha un servizio civile volontario.» Da notare inoltre che l’art. 61 «Protezione civile» rimane invariato. Il risultato è che ogni giovane, uomo e donna, può decidere liberamente se partecipare al servizio militare o meno. Se vuole servire il paese in altro modo, può partecipare al servizio civile (ora limitato ai maschi abili al servizio), che evidentemente avrebbe la stessa durata del servizio militare.

Il cosiddetto «obbligo di servizio» è ormai una beffa: nel 2012 meno del 62% dei giovani in età di reclutamento sono stati considerati «abili al servizio» (a Ginevra e nel Giura addirittura solo il 50%!): 4 giovani svizzeri su 10 sono forse malati? Anche tra i reclutati, molti non portano a termine tutto il loro dovere militare. Un «obbligo» che riguarda solo metà degli interessati è una cosa seria?

Di fatto l’esercito svizzero, seguendo una tendenza a livello europeo, sta subendo varie cure dimagranti: con «Esercito XXI» si è passati da quasi 400’000 soldati a circa 120’000.  Sono già previste ulteriori riduzioni e gli esperti stimano un effettivo di 20’000-50’000 militi più che sufficiente per garantire i compiti militari dell’esercito. Per far fronte a questi cambiamenti, salvando però il mito dell’«obbligo di servire», l’esercito accetta che moltissimi giovani presentino certificati dubbi, mentendo sul loro stato di salute, per evitare il servizio, perché non saprebbe che cosa farsene.

Un esercito di milizia volontaria è l’unica soluzione possibile per mantenere l’esercito e  il principio della milizia: l’obbligo generalizzato è una farsa non più sostenibile.

Secondo stime affidabili (per esempio nella «NZZ am Sonntag» del 25 agosto) il 5%–10% di volontari l’anno sarebbe sufficiente per realizzare un esercito di 50’000–100’000 militi. E da varie inchieste risulta una disponibilità a un servizio volontario compresa tra il 12% e il 48% dei giovani, a seconda del tipo di organizzazione (corso base – corsi di ripetizione) e del compenso.

È strano sentire i responsabili, che di solito tessono le lodi del servizio militare per l’esperienza di camerateria e come scuola di vita, affermare che non troverebbero volontari a sufficienza. Forse dovrebbero cambiare un po’ stile: non più noia alternata ad eccessi (come illustrato in «Das Magazin» del 16 agosto), meno nonnismo e misoginia. Un servizio militare che alterni attività fisica, anche impegnativa, e formazione, utile anche in ambito professionale, potrebbe interessare molti giovani uomini e donne.

Chi non capisce che cosa significhi milizia volontaria teme che gli effettivi dipenderebbero dalla buona volontà dei militi di volta in volta. Ma non è così! Chi sceglie il servizio militare deve assumersene gli obblighi, prestando tutti i corsi richiesti. E la milizia volontaria, dove ognuno continua la sua vita professionale e civile, parallelamente a quella militare, è ben diversa dall’esercito di professionisti: una possibilità  che nessuno vuole e che l’iniziativa non favorisce in nessun senso.

Già ora la carriera militare non è obbligatoria in senso stretto: sottufficiali e ufficiali formano quindi una milizia volontaria. In molti Cantoni e Comuni svizzeri il corpo dei pompieri è una milizia volontaria. E funziona! Non si tratta quindi di un’idea particolarmente nuova. Anche la Guardia nazionale degli Stati Uniti è una milizia volontaria. Non è quindi vero che la proposta dell’iniziativa sarebbe una cosa unica al mondo.

Si sta poi parlando di un esercito che deve garantire la sicurezza in senso militare tradizionale. I rischi per la nostra sicurezza, in un mondo globalizzato e tecnologizzato, sono però ben altri, come vediamo purtroppo ogni giorno al telegiornale: uso di droni, attacchi informatici, il rischio sempre presente della guerra chimica e nucleare. In questo senso, e per le catastrofi naturali, acquista una grande importanza la protezione della popolazione, compito affidato alla protezione civile, che non è toccata dall’iniziativa e anzi potrebbe risultare potenziata.

Se il 40% degli maschi svizzeri è pronto a tutto, anche a mentire, pur di non fare il servizio militare, non mi sembra che si possa affermare che sia una realtà radicata tra la popolazione. I giovani maschi chiamati al reclutamento oscillano tra il «facciamolo e non pensiamoci più!» e «come trovo un certificato per evitarlo?». Anche famosi campioni sportivi hanno seguito la «via blu» del certificato medico, nonostante gli ottimi risultati poi ottenuti nella loro disciplina. Sembra che ormai l’obbligo dipenda piuttosto dalla formazione, dalla classe sociale e dalle conoscenze, che permettono di evitare facilmente il servizio. I datori di lavoro non apprezzano le ripetute assenze dei militi, mettendoli in posizione di svantaggio rispetto alla concorrenza dei «furbi» e degli stranieri. I lavoratori indipendenti trovano gli obblighi di servire ripetutamente un grave impedimento per il loro lavoro. Anche le grandi aziende svizzere, che un tempo apprezzavano la formazione della scuola ufficiali per i loro quadri, preferiscono ora altri titoli di formazione.

Un esercito di milizia volontaria, per le sue dimensioni, avrebbe un impatto ridotto; per la sua serietà e la sua buona organizzazione sarebbe però una vera occasione di coesione nazionale.

Non dimentichiamo che la proposta elimina importanti ingiustizie e discriminazioni. Il servizio volontario è ora riservato alle donne, con l’iniziativa gli uomini sono trattati allo stesso modo. Chi accetta l’obbligo di servire il paese senza dover far parte di una istituzione di guerra è stato prima messo in prigione, poi ha dovuto sottoporsi a un esame di coscienza e ancora oggi deve prestare un servizio civile lungo una volta e mezzo il militare; l’iniziativa elimina questa disparità di trattamento. Chi non presta servizio militare perché inabile al servizio, ora deve pagare una tassa militare; con l’iniziativa questa tassa ingiusta sparisce. L’eliminazione di queste ingiustizie rappresenta un vero progresso civile che possiamo permetterci di acquistare, rinunciando a un mito lontano dalla realtà. Non più pretendere da più un terzo dei giovani svizzeri di mentire, per poter avere un esercito più piccolo, fingendo di mantenere vivo il mito del cittadino soldato, rappresenta pure un grande progresso morale.

La Costituzione federale prevede ora al capoverso 1 dell’art. 59 che «Gli uomini svizzeri sono obbligati al servizio militare». Anche una sospensione dell’obbligo di servire implicherebbe quindi un cambiamento della Costituzione e una votazione popolare. Tra eliminazione e sospensione dell’obbligo, per la Svizzera non c’e quindi una vera differenza. Il parlamento federale avrebbe potuto proporre un controprogetto dove la competenza per la reintroduzione del servizio militare obbligatorio fosse concessa al parlamento stesso o addirittura al Consiglio federale. Ma sarebbe stato un pasticcio.

In caso di vittoria dell’iniziativa, per reintrodurre l’obbligo del servizio militare sarebbe necessario riconvocare il popolo alle urne, ma non mi sembra un aspetto problematico. Abbiamo già visto che la politica federale sa essere molto veloce, se lo ritiene necessario.

Sono convinto che la milizia volontaria sia un passo necessario e presto inevitabile, proprio per continuare ad avere un esercito come le cittadine e i cittadini lo desiderano: efficace, senza sprechi, vicino alla popolazione, di milizia, volontario.

Carlo Lepori