Tre anni fa, tra la sorpresa generale degli intellettuali arabi chiusi nelle loro torri d’avorio e degli esperti occidentali che pontificavano sulla passività delle masse arabe e sulla loro scarsa aspirazione al cambiamento e alla democrazia, il popolo egiziano, dopo quello tunisino, scendeva nelle strade e in 15 giorni demoliva una dittatura che sembrava indistruttibile.
Il carattere pacifico dei cambiamenti intervenuti, certo con dei martiri ma senza massacri su vasta scala, aveva stupito tutti.

Tre anni più tardi, lo scetticismo e la delusione hanno preso il sopravvento, molti intellettuali arabi e specialisti europei e americani dissertano su “l’inverno islamista”, sul regredire delle masse – in Egitto, ad esempio molti si chiedono se va accordato il diritto di voto agli analfabeti – sul “complotto occidentale” e sull’impossibilità di cambiare questo mondo arabo. Riprendono anche lo slogano dei vecchi regimi, “meglio i militari degli islamisti”.

Come analizzare quel che è veramente successo in Tunisia e in Egitto all’inizio del 2011? Era una rivoluzione? La facilità con cui erano caduti i presidenti Ben Ali e Moubarak ha creato l’illusione : la loro caduta era solo una prima tappa.
Si potrebbe aggiungere che se questi due presidenti sono caduti tanto facilmente, è perchè i regimi sono rimasti al loro posto.
Detto in altre parole, l’essenziale della classe dirigente in Egitto e Tunisia ha capito che poteva sacrificare i due presidenti senza rimettere in causa i suoi privilegi.
Le grandi fortune e gli uomini d’affari, spesso corrotti, lo “Stato profondo”, la grande burocrazia, hanno accettato la partenza di dittatori diventati fastidiosi per tentare di mantenere le loro prebende, per evitare una rivoluzione di più vaste proporzioni.

Questo fa riflettere sulla differenza fra la situazione in questi due paesi e la Siria. Qui il presidente Bachar Al-Assad è riuscito a convincere una parte delle classi al potere che la sua caduta causerebbe la perdita dei loro privilegi e la loro liquidazione fisica.
Perchè Al-Assad è riuscito laddove Ben Ali e Moubarak hanno fallito?
Numerosi fattori entrano in gioco e innanzitutto la brutale determinazione del potere che si è saldato, dopo qualche esitazione, attorno al capo.
Ma la militarizzazione dell’insurrezione, l’arrivo di combattenti djihadisti stranieri, l’incapacità dell’opposizione di rassicurare le minoranze e una parte delle élites, hanno facilitato le manovre di Al-Assad e gli hanno permesso di entrare nei panni della “lotta contro i djihadisti”.

In Egitto la vittoria rappresentata dalla partenza del presidente Moubarak non segnava la scomparsa del vecchio Stato. La profonda riforma di questo Stato, la risposta alle aspirazioni di giustizia sociale della popolazione, necessitava una strategia a breve e medio termine.
Ora, non solo le forze d’opposizione sono state incapaci di formulare un programma realista, ma non hanno saputo definire una strategia di trasformazione progressiva dell’apparato statale che avrebbe permesso di epurare i principali responsabili del vecchio regime, amnistiando gli altri.
E’ stata una delle forze e uno dei punti deboli del movimento del gennaio-febbraio 2011 : mancava un programma definito.

Se si fa un confronto tra quello che è successo nel mondo arabo e le grandi rivoluzioni della Storia nel 20.secolo, va notato che nel mondo arabo non esisteva, e non esiste ancora, un partito politico, un’ideologia capace di mobilitare le masse (come nella Russia nel 1917 o in Iran nel 1978-1979) per rompere il vecchio apparato statale e edificarne uno nuovo, per cancellare il passato.
E’ una realtà che non cambierà nei prossimi anni. E le rivoluzioni arabe assomiglieranno sempre più a un processo con avanzate e dietrofront, che non a uno sconvolgimento maggiore con un “prima” e un “dopo”.

In questo processo, i Fratelli musulmani egiziani, che hanno partecipato alla rivolta del gennaio-febbraio 2011, si sono comportati come forza conservatrice, cercando di trovare compromessi con il vecchio regime.
E’ ironico che sia il ministro dell’interno nominato dal presidente destituito Mohammed Morsi che orchestra la brutale repressione contro i Fratelli musulmani.
Una volta giunto al potere e malgrado le promesse fatte alle forze rivoluzionarie per ottenere la vittoria, Morsi ha proseguito su questa strada, incoraggiato dalle esitazioni dell’opposizione, dall’avvicinamento di questa opposizione alle forze del vecchio regime.
Alla fine, con i loro errori e il loro settarismo i Fratelli musulmani sono riusciti a riabilitare il vecchio regime agli occhi di molti egiziani, che hanno finito con il giustificare il colpo di Stato del 3 luglio.

Ma malgrado l’appoggio di cui hanno beneficiato all’inizio i militari, malgrado la repressione, è chiaro che il nuovo governo, semplice facciata del potere militare, avrà difficoltà a stabilirsi su solide basi.
Soprattutto che né in ambito economico e sociale (il paese vive ormai grazie all’aiuto saudita e del Golfo) né sul piano delle libertà, il potere risponde alle attese della rivoluzione del gennaio-febbraio 2011.

(Fonte : aljazeera.com)