di Friedrich Magnani

Il “Why not” pronunciato da Matteo Salvini, il 7 novembre scorso, alla trasmissione “Fuori dal coro”, sull’eventualità dell’elezione di Mario Draghi alla presidenza della Repubblica italiana, non è rimasto inosservato. Malgrado l’immediata levata di scudi di Fratelli d’Italia, la sua uscita suona come un placet, all’ala liberale del centrodestra, oltre a dirla lunga, sul rapporto di fiducia, che lega Silvio Berlusconi, all’ex governatore della BCE.

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Ma prima di arrivare alla figura di Mario Draghi e al suo famoso “Whatever it takes”, (estrapolato da quella famosa frase: “the ECB, is ready to do whatever it takes, to preserve the euro”), pronunciato dall’allora governatore BCE, il 26 luglio 2012, alla Global Investment Conference di Londra, conviene partire dalla caduta del governo Berlusconi, nel novembre 2011. Quest’evento, ci dà la chiave di lettura, per capire l’operato di Mario Draghi, a partire da quell’anno, fino alla fine del suo mandato.

Il 2011, non fu l’anno della crisi (quello vero fu il 2009), bensì quello della speculazione finanziaria e di un silenzioso colpo di Stato da parte del Consiglio europeo, verso i Paesi economicamente fragili dell’Eurozona. Come sostenne Juergen Habermas, il filosofo tedesco, in un’intervista a Georg Diez dello Spiegel, il 25 novembre 2011. In nove mesi, tra il 2011 e il 2012, caddero assieme all’Italia, i governi di Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia.

Riguardo al Belpaese, sappiamo, che fu proprio il Cavaliere, a sponsorizzare l’elezione di Mario Draghi, nel 2011, al vertice della BCE. Il fatto che l’altro candidato, Axel Weber, presidente della Bundesbank, si fosse ritirato all’ultimo momento dalla corsa, facilitò a malincuore, il consenso della Merkel e di Sarkozy, alla nomina di Draghi, al Consiglio europeo del 24 giugno 2011. Berlusconi, ha di recente ammesso, alla trasmissione Quarta Repubblica, del 28 ottobre scorso, di aver visitato tutte le cancellerie d’Europa, per convincere gli altri partners europei, a limitare il potere di Berlino e ad appoggiare la candidatura di Draghi.

Se sommiamo questo sgarro, all’opposizione verso il Fiscal Compact (di richiesta tedesca) e all’intervento francese in Libia (contro Gheddafi), oltre a tutte le gaffes sulla Merkel, capiamo perché all’ultimo Consiglio europeo di quell’anno, il 24 ottobre 2011, la Cancelliera e Nicolas Sarkozy, con quell’ormai noto incrocio di sguardi e di sorrisi beffardi, diedero l’ultimo colpo, alla reputazione internazionale del Cavaliere. Pochi giorni dopo, la caduta finale in casa, con lo sgambetto del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il suo rifiuto di firmare il decreto legge, contenente tutte le misure draconiane (tagli di spesa, nuove imposte, flessibilità del lavoro, pareggio di bilancio entro il 2013), suggerite dall’Europa e dalla famosa lettera Trichet-Draghi, del 5 agosto 2011.

Lo stesso decreto, verrà firmato da Napolitano, pochi mesi dopo, sotto il governo Monti. Si è poi saputo, che quella lettera Trichet-Draghi, fu in realtà scritta a Roma, da Daniele Franco (su suggerimento di chi?), oggi Ragioniere Generale dello Stato, all’epoca, direttore centrale, dell’area Ricerca economica e relazioni internazionali di Bankitalia. La prova, è che sia Berlusconi, che Tremonti (all’epoca, Ministro dell’Economia), ne vennero a conoscenza, prima che divenisse ufficiale (secondo le cronache di Renato Brunetta, fedelissimo del Cavaliere). In quella circostanza, Mario Draghi, ci mise solo la firma. Questo spiega, perché non è mai venuta a mancare la stima di Berlusconi, nei suoi confronti.

La congiura di palazzo, fu poi condita, come sappiamo, dall’impennata del differenziale btp-bund (Spread), che arrivò a toccare, nel novembre 2011, i 574 punti base. Oggi abbiamo notizia, che fu favorita, non solo dal downgrade delle agenzie di rating, ma anche dalla vendita improvvisa di btp (pari a 8 miliardi di euro), ad opera della Deustche Bank, che dopo essersi liberata dei titoli governativi greci, fece altrettanto, di quelli italiani.

La situazione economica dell’Italia, diversamente da quanto si potrebbe pensare, non era grave. Il debito pubblico era pari al 120% del pil, (oggi siamo al 135%) e il deficit era in calo, sotto il 5%, contro il 6% della media UE. Dopo la crisi del 2009, infatti, quasi tutti i Paesi europei, avevano sforato il rappporto deficit/pil. Ecco perché si arriverà nel 2013, al vincolo del Fiscal Compact.

Infine, la tempesta del 2011 fu agevolata anche dall’azione di Trichet, che il 7 luglio 2011, alzò inspiegabilmente il tasso di riferimento all’1,50%, con l’obiettivo di frenare un’ipotetica inflazione dell’area euro, oscillante attorno al 2%. Questo non fece che rendere più agevole, l’aumento dei tassi d’interesse governativi di tutta l’Eurozona e quindi, dell’Italia.

Per concludere, un quadro riassuntivo, di tutto il contesto e delle variabili nazionali e internazionali, lo delinea Luca Ricolfi, con un richiamo alle fonti, in un articolo apparso su Panorama, il 18 febbraio 2018, dal titolo: “L’agguato del 2011 contro Berlusconi”. Le testimonianze e le interviste, si rifanno principalmente a quattro saggi: Il Cigno nero e il Cavaliere bianco, di Roberto Napolitano, El dilema di Luis Zapatero (altro Premier, vittima del 2011), Ammazziamo il Gattopardo, di Alan Friedman, e Stress test, di Timothy Geithner (ex segretario del Tesoro americano). A questi, aggiungo il saggio: Berlusconi deve cadere. Cronaca di un complotto, di Renato Brunetta (allora ministro per la Pubblica Amministrazione).

Ma torniamo a Mario Draghi. A partire da questi fatti, con l’esperienza di quanto accadde in quell’annus horribilis, cambierà le sorti dell’euro, e soprattutto, dell’Italia, che grazie alle sue azioni, non rimarrà più vittima, della speculazione finanziaria.

Egli si mette all’opera, già a partire dal novembre 2011, con il primo taglio dei tassi, a cui segue un secondo, l’8 dicembre dello stesso anno. Per arrivare a quella fatidica data, il 26 luglio 2012, con l’annuncio, che la Banca Centrale Europea, avrebbe fatto tutto il necessario, per salvare l’euro. E infatti, pochi mesi dopo, nel settembre del 2012, annuncia le operazioni di OMT (Outright Monetary Transactions), consistenti nell’acquisto da parte della BCE, dei titoli di Stato, dei Paesi in difficoltà macroeconomica. In questo modo, negli anni a venire, assieme al taglio dei tassi e ai prestiti TLTRO (Targeted Longer-Term Refinancing Operations), verso le banche dell’Eurozona che erogano credito a famiglie e imprese, è riuscito a sostenere l’economia dell’Eurozona, e a spegnere il fuoco della speculazione.

La sua linea è chiara, neoliberista. Molti seguaci di Federico Caffè (keynesiano), di cui anche lui fu allievo, assieme a Ignazio Visco ed Ezio Tarantelli, lo rimproverano di aver tradito la dottrina egualitarista del maestro. Francesco Cossiga, nel 2011, lo definì addirittura “un vile affarista”, per essere stato, a suo dire, il liquidatore dell’industria pubblica italiana (Draghi fu Direttore Generale del Tesoro, all’epoca delle grandi privatizzazioni degli anni Novanta), oltre che che collaboratore di Goldman Sachs.

Sulla scia del suo profilo e delle diatribe, le chances che possa essere eletto Presidente della Repubblica italiana, sono ben poche. Certo è, che a onor del vero, gli va datto atto di aver fatto molto per il Belpaese, e se oggi gli italiani possono “vivere di rendita”, senza lo spettro imminente del 2011, con un debito pubblico in costante crescita (e il consueto teatrino della politica), lo devono certamente a lui.