Domenica i macedoni sono andati alle urne per il referendum indetto sul cambiamento del nome in “Repubblica di Macedonia del Nord” nel tentativo di porre fine a tre decenni di conflitto balcanico con la vicina Grecia.

Il giudizio popolare che doveva esprimersi sull’accordo firmato ad Atene con il primo ministro greco Alexis Tsipras lo scorso giugno e che prevedeva l’aggiunta di “Nord”, non ha raggiunto il quorum previsto per la sua validità.

Se fosse stato accettato, avrebbe potenzialmente aperto la porta di adesione della Macedonia alla NATO e all’UE, facendola uscire dall’isolamento. Non tutti hanno condiviso lo stesso entusiasmo per il referendum, non volendo rinunciare all’identità macedone. Non tutti i cittadini vogliono sentirsi macedoni del nord: gli oppositori nazionalisti del cambio di nome hanno affermato che si perde l’identità etnica della maggioranza slava della Macedonia rappresentando di fatto un’umiliazione nazionale e distruggendo l’autostima e la sovranità.

Ex Repubblica sovietica della parte meridionale della ex Jugoslavia, lo Stato della penisola balcanica sud-orientale con capitale Skopje, è riconosciuto da alcuni Stati come FYROM (ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia), a seguito della sua adesione all’ONU avvenuta nel 1993 dopo l’indipendenza. Ma il nome Macedonia è rimasto provvisorio per via della disputa avviata dalla Grecia che ha posto il veto al suo ingresso, perché convinta che il nome che storicamente appartiene all’omonima provincia settentrionale del territorio greco, implichi ambizioni territoriali. Il nuovo nome, permetterebbe ad Atene di proteggere il suo antico passato, garantendo allo stesso tempo a Skopje un futuro sostenibile con l’ingresso all’UE.

Il premier socialdemocratico Zoran Zaev, europeista convinto e promotore della consultazione, ha promesso che malgrado la sconfitta politica, continuerà a battersi per garantire l’integrazione del suo Paese con la NATO e l’Unione Europea. Quando salì al potere nel 2017, Zaev, primo ministro macedone filo-occidentale, dichiarò che uno dei suoi obiettivi principali era quello di superare il veto perenne della Grecia e spianare la strada per l’adesione all’UE.

E dato che il referendum è stato consultivo e non vincolante, Zaev farà pressione ora in parlamento perché si voti al fine di cambiare il nome del paese. Ma l’opposizione, che ha invitato a non votare, detiene 49 seggi nel parlamento su 120, abbastanza da bloccare la maggioranza dei due terzi richiesta per modificare la costituzione.

Sarebbe un passo importante per un paese che meno di due decenni fa sfiorò la guerra civile quando la minoranza etnica albanese prese le armi contro il governo alla ricerca di maggiori diritti. Zaev è determinato a indire elezioni anticipate se non riuscirà a sostenere la Macedonia “europea”.

Il referendum aveva suscitato un forte interesse in Occidente, con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il segretario alla difesa statunitense James Mattis tra i maggiori funzionari stranieri a sostenere il “Sì”.

La Russia, tuttavia, non è molto entusiasta dell’espansione della NATO in quella parte dell’Europa che una volta era sotto la sua influenza.