L’Europa ha chiesto lo scalpo di due leader politici nel giro di pochi giorni. Il primo ministro greco George Papandreou ha promesso di dimettersi a breve, seguito a ruota dal premier italiano Silvio Berlusconi. Entrambi erano in crisi ma a provocarne la caduta è stato l’ultimatum sulle riforme economiche impartito al G20 di Cannes. E’ quanto scrive il settimanale britannico The Economist nell’edizione del 10 novembre, quella che in copertina ha Berlusconi inserito in un festino della Roma antica e l’eloquente titolo That’s all, folks (vedi articoli correlati).

“Al G20 di Cannes sono stati infranti due tabù – si legge nell’articolo – Per la prima volta i leader della Zona euro hanno accettato l’idea che uno Stato membro possa andare in bancarotta e uscire dall’euro. E per la prima volta i capi di governo della Zona euro hanno interferito deliberatamente nella politica interna di altri paesi.
L’Unione europea influisce da tempo sulla politica degli stati. Basta pensare a come l’Italia abbia dovuto riformare le proprie finanze pubbliche per adottare l’euro nel 1999.

Fino a qualche tempo fa gli europei si consideravano una grande famiglia: c’erano gerarchie ben definite, ma nessuno metteva in dubbio il diritto degli altri a far parte del clan.
A Cannes, invece, i leader della Zona euro hanno messo in chiaro che alcuni membri della famiglia possono essere abbandonati e diseredati. C’è chi lo considera un vero e proprio attacco alle democrazie nazionali da parte delle élite europee, non elette o addirittura autonominate (è il caso del duo formato da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy).

Naturalmente l’Italia e la Grecia hanno scelto liberamente di entrare a far parte dell’euro e tutti i club hanno le loro norme di comportamento da rispettare. In un’unione monetaria l’irresponsabilità di un membro mette in pericolo il benessere degli altri. Se Italia e Grecia non fossero state così indebitate e sclerotiche, oggi non si troverebbero nei guai fino al collo.
Inoltre i paesi che concedono un aiuto finanziario possono imporre le loro condizioni, per assicurarsi che il debito sia ripagato.

Eppure c’è un fondo di verità nelle accuse mosse in questi giorni all’Europa. La crisi non rallenta, l’austerity è un fardello sempre più pesante e la Zona euro aumenta l’integrazione nel disperato tentativo di salvarsi.
Le sofferenze sarebbero più facili da accettare se i creditori si comportassero come se volessero davvero scongiurare una minaccia incombente. Invece, anziché impegnarsi a fondo per risolvere la crisi, sembra non facciano altro che preoccuparsi di limitare la propria responsabilità.
I debitori, tra l’altro, pagano le conseguenze degli sbagli dei creditori. In Grecia il Fondo monetario internazionale ha chiesto che il programma di risanamento si basi più sulle riforme strutturali. Gli europei, invece, privilegiano la riduzione del deficit.
Una recessione profonda implica che Atene dovrà aumentare l’austerity e racimolare nuovi introiti. Il primo bailout è stato un prestito triennale a tassi d’interesse punitivi, senza alcuna riduzione del debito.
L’ultimo piano di salvataggio offre invece tassi convenienti fino a 30 anni, con un taglio del 50% del debito. È evidente che almeno uno dei due bailout è stato uno sbaglio e probabilmente nessuno dei due sarà in grado di salvare la Grecia.”