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L’aumento del numero dei frontalieri a 54mila, di cui 28mila nel settore terziario, è un segnale preoccupante. Questo aumento corrisponde infatti ad una crescita del 40.1% rispetto alle cifre del 2006. Tuttavia, il numero di posti di lavoro in Ticino, nello stesso periodo, è ben lungi dall’essere aumentato del 40.1%.

Ciò significa che è in atto un fenomeno di “sostituzione” di lavoratori residenti con frontalieri. Un fenomeno che nemmeno il Consiglio federale, dopo averlo negato ad oltranza, oggi si sente più di escludere (l’ultima affermazione ufficiale al proposito è del seguente tenore: “dai dati in nostro possesso non risulta (…) ma non è neppure possibile escluderlo”: una formulazione che, per chi conosce un po’ il “burocratese” federale, è molto eloquente).
Significativo e preoccupante è poi il dato relativo al 2011: lo scorso anno, in Ticino sono stati creati circa 3000 nuovi posti di lavoro (più o meno la stessa cifra del 2010); per contro, se nel 2010 i frontalieri erano aumentati, rispetto al 2009, di 3000 unità – e quindi il saldo, se così si può dire, era uguale a zero – ora la situazione appare nettamente peggiorata.
A fronte di 3000 posti di lavoro creati, si registra un aumento dei frontalieri di 5600 unità: quasi il doppio.

Il bilancio è quindi chiaramente negativo per quel che riguarda l’occupazione dei residenti: i frontalieri sono aumentati in misura molto maggiore rispetto agli impieghi; questo significa che posti di lavoro che prima erano occupati da ticinesi sono ora occupati da frontalieri.
E non necessariamente a seguito di pensionamenti. Le cifre dimostrano quindi che la – fino a poco tempo fa negata ad oltranza – sostituzione di residenti con frontalieri è invece una realtà.
Ma naturalmente, come di consueto, chi suonava il campanello d’allarme era bugiardo, populista ed irresponsabile: quasi un criminale.
Allo stesso modo, nel 2011 le giornate di lavoro svolte in Ticino da artigiani e ditte in arrivo da Oltreconfine sono state ben 628mila, suddivise in 13’200 notifiche di lavoro di breve durata (sotto i 90 giorni).
Anche qui un aumento allarmante, vale a dire un raddoppio in pochi anni, che si traduce in una perdita di lavoro per gli operatori locali, dal momento che l’evoluzione del mercato ticinese (come peraltro confermato dal direttore della CCIA-Ti, Luca Albertoni) non giustifica affatto una simile evoluzione.
Davanti a questa situazione, a mio giudizio non ci sono alternative all’introduzione di forme di contingentamento per frontalieri (in particolare in settori come il terziario, in cui di sicuro non c’è carenza di manodopera residente) e padroncini.

Nell’attesa, occorre cogliere tutte le occasioni per favorire le aziende che assumono residenti. La presenza di residenti nell’organico deve quindi diventare uno dei criteri di valutazione nell’attribuzione di appalti pubblici.
Nell’ottenimento di lavori o di forniture per lo Stato (ma anche per il parastato), la ditta che impiega residenti deve risultare avvantaggiata rispetto a quella che fa ricorso a frontalieri.
Al proposito, da parte della Lega dei Ticinesi, sono stati inoltrati atti parlamentari ai vari livelli istituzionali: federale, cantonale, comunale (a Lugano).

Lorenzo Quadri
Municipale di Lugano
Consigliere nazionale