Oggi ho voglia di giocare. No, non sto cercando compagni per una partitella a bridge, un biliardo o una partita a calcetto. Oggi giocherò a stimolare la vostra curiosità.

Un po’ come un birbantello ozioso che in una bella giornata di primavera getta sassi nello stagno per vedere i cerchi che fanno.

I matematici hanno da un po’ di tempo sbattuto in un oggettino alquanto carino che hanno chiamato teoria dei giochi.
Purtroppo i matematici raramente hanno brillato per lungimiranza ed anche in questo caso non hanno fatto eccezioni.
Infatti non hanno pensato che tale nome per detta teoria avrebbe potuto in futuro svilirne l’importanza. Teoria delle decisioni (o delle scelte o dei comportamenti) sarebbe stato un nome notevolmente più felice, autorevole, opportuno ed azzeccato, ma purtroppo non è andata così.
Anche teoria dei giochi in fondo (ma proprio in fondo) può andare bene, a condizione di essere capaci di astrarre la vita da tutto il fardello emotivo che si porta appresso e considerarla anch’essa un gioco.
In effetti la vita è il gioco degli organismi, il susseguirsi delle scelte, dalle più banali (vado a destra o a sinistra) alle più complesse.

La prima ad utilizzare la teoria dei giochi ovviamente è stata, vista l’opportunità di guadagno, l’economia.
Capire le strategie (sequenze di comportamenti) dei clienti dà un vantaggio significativo e l’ottimo di Pareto è molto importante anche nella teoria dei giochi.

Gli altri collegamenti della teoria dei giochi sono forse meno evidenti. Se dico giochi dico regole e mi ricollego al diritto, ma se dico comportamenti mi ricollego soprattutto all’etica.
La principale classificazione dei giochi avviene sulle modalità: esistono giochi competitivi e giochi collaborativi, e qui c’è la sorpresa più grossa : Nei giochi competitivi è impossibile porre delle regole.

Beninteso ci si può provare, ma saranno inutili perché alla mercé del più debole dei concorrenti, che le violerà nell’esatto momento in cui ritiene probabile la sconfitta. Meglio il disonore che la sconfitta, tutto sommato.
Il problema della nostra società è che abbiamo creato giochi competitivi in ogni ambito e che quindi inevitabilmente continuiamo a competere.
Non ci fermiamo più a riflettere sul fatto che la competizione è alla base della selezione naturale mentre la collaborazione è alla base dell’evoluzione della specie.
E il problema dei giochi competitivi è che il loro archetipo è sempre il gioco del pisciasotto (chicken game, jeu de la pouille mouillée, gioco del coniglio) in cui due guidatori preferiscono finire nel baratro piuttosto che scendere dall’auto prima dell’avversario.
L’unica soluzione logica è non giocarci, invece noi no, sempre a chiedersi chi è più bravo, bello, retto, alto, chi ce l’ha più lungo e chi piscia più lontano. Una questione d’onore…

Infine il problema del gioco del pisciasotto è che ha sempre come causa una situazione ben precisa che altri hanno illustrato con un termine conciso al massimo: mamihlapinatapai.
Andate a cercarvela su WP. Che bella parola, illuminante, molto umana, molto vera… ma che modo veramente stupido di giocare una partita!

malatempora