Il governo francese dichiara da qualche giorno che, cacciati gli islamisti dalle città del nord del Mali, le autorità locali possono ora assumere completamente il controllo politico e militare del paese. Si tratta della “responsabilizzazione del continente africano” tanto cara a François Hollande ma la realtà mostra una situazione ben diversa.

1. Sicurezza interna
La maggior parte degli Stati africani che Hollande incita a prendere in mano il proprio destino (Nigeria, Burkina-Faso, Ciad, Ghana…) sono incapaci di far regnare una situazione di sicurezza interna. In particolare la Nigeria, gigante economico della regione e paese confrontato a un terrorismo islamico particolarmente radicale e a movimenti di guerriglieri mafiosi nel delta del Niger.

2. Bilancio delle forze africane
Mai una crisi militare nel continente è stata risolta e stabilizzata da un’unica forza di azione africana. Da una ventina d’anni gli esercizi delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace in Africa sono costose messe in scena, come ad esempio la Missione delle Nazioni Unite per la stabilità in Congo che – forte di 17’000 soldati – nel novembre scorso era stata incapace di proteggere la città di Goma nel Kivu contro l’offensiva di un centinaio di ribelli del movimento M23.
Gli invii di contingenti esterni, sia da parte dell’ONU sia da altri paesi africani, hanno generato solo crisi supplementari, causate dall’atteggiamento di queste forze nei confronti delle popolazioni locali.

3. La cultura africana del depredare
Il problema della debolezza delle forze armate africane non è legata né alla loro preparazione né alle competenze. La maggior parte dei quadri è formata in accademie militari occidentali. Gli ufficiali superiori nell’Africa francofona sono passati quasi tutti dalle scuole militari francesi, in particolare quella di Saint-Cyr Coëtquidan.

Il problema è un altro : gli eserciti africani sono abituati, soprattutto i loro capi, alla cultura del depredare. Il mal governo degli Stati d’Africa centrale, soprattutto, porta i capi militari a riscuotere sul terreno.
I governi addirittura incoraggiano i militari a procedere al racket, al mercantaggio e ai furti. Un capo di Stato africano non può permettersi di lasciare le forze armate senza salario. La maggior parte dei colpi di Stato è legata a una carenza finanziaria. Da cui l’incoraggiamento a approfittare delle risorse del posto.
Questo modo di fare peggiora quando un contingente africano viene mandato fuori dalle frontiere nazionali. Nessun risarcimento supplementare, ma il diritto di servirsi di quanto è a disposizione sul luogo delle operazioni militari.
Un’operazione militare all’estero è spesso considerata da un contingente africano come una manna finanziaria, ai danni del paese che si va “a salvare”.

4. La cultura africana della violenza
La cultura degli eserciti africani si basa spesso su una violenza libera da qualsiasi controllo. Ovviamente le esazioni, i massacri, lo sterminio etnico non sono una prerogativa ma di certo sono una costante nelle guerre africane.
La reputazione delle forze speciali nigeriane integrate nella Missione internazionale di sostegno al Mali è particolarmente temuta. La coabitazione di etnie e di culture diverse genera tensioni considerevoli, in Africa più che altrove. Non è un caso se a Kidal, in territorio tuareg, accanto alle truppe francesi non vi sono truppe del Mali.

La realtà è che all’interno dello Stato maggiore francesi tutti pensano – ma nessuno lo dice – che operare adesso una transizione militare in Mali equivale a una catastrofe.
Per mesi l’Unione africana ha tergiversato senza agire, gli ufficiali superiori degli eserciti africani coinvolti nel conflitto in Mali hanno speso tempo prezioso in riunioni costose, inutili e prolisse.
E’ un’illusione pensare che nel nord del Mali la pace potrà essere portata e mantenuta da un contingente africano o da un migliaio di soldati africani.

(Fonte : Rue89)