(fdm) Curti scrive testualmente: “Giovani neri americani che cercarono di lottare contro la discriminazione razziale negli USA” Tutto qui? Non c’è altro? Si tratta veramente solo di questo?

Su un punto Curti non si esprime (o forse lo lascia sottinteso). Le tre “pantere” erano innocenti? In alternativa: ha egli motivo di credere che lo fossero? Queste sono domande, ovviamente.


Forse siamo in pochi a ricordarci delle Pantere Nere, ma tanti giovanotti “imbiancati” si ricorderanno dei pugni alzati con guanti neri di Tommie Smith e John Carlos dopo la finale dei 200 metri a Città del Messico nel 1968. Giovani neri americani che cercarono di lottare contro la discriminazione razziale negli USA.

Herman Wallace, ex membro delle Pantere Nere, è morto la notte scorsa dopo essere stato rilasciato appena martedì, per ordine di un giudice della Louisiana. Aveva 71 anni. Era stato condannato al carcere a vita per un omicidio che ha sempre negato e ha trascorso 40 anni in isolamento. Assieme a lui furono giudicati colpevoli anche Robert King, che è stato rilasciato nel 2001, e Albert Woodfox, che è rimasto in isolamento così come Wallace, con un’ora d’aria al giorno, ed è ancora dietro le sbarre.

La sua storia e quella degli altri due condannati, a loro volta membri delle Pantere Nere, ha nel corso degli anni attirato l’attenzione di diversi gruppi per la difesa dei diritti civili ed è finita al centro di una battaglia per ottenere la loro liberazione. Il loro caso è divenuto noto come quello dei “tre del carcere Angola” (così chiamato perché costruito su una piantagione dove gli schiavi arrivano appunto dall’Angola). Si tratta di una battaglia andata avanti fino alla fine: mercoledì il procuratore di Baton Rouge (Louisiana), Hillar Moore, aveva affermato che avrebbe presentato appello contro la liberazione di Wallace.

Oggi che la borghesia, bianca e nera, glorifica Obama viene da ridere.

Carlo Curti, Lugano

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