La Redazione si permette di anteporre allo Zibaldone del dottor Soldati una nota storica.

(da Wikipedia) Con l’espressione massacri delle foibe, o spesso solo foibe, si intendono gli eccidi ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia, occorsi durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, “foibe”.

Il fenomeno dei massacri delle foibe è da inquadrare storicamente nell’ambito della secolare disputa fra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale, nelle lotte intestine fra i diversi popoli che vivevano in quell’area e nelle grandi ondate epurative jugoslave del dopoguerra, che colpirono centinaia di migliaia di persone in un paese nel quale, con il crollo della dittatura fascista, andava imponendosi quella di stampo filosovietico, con mire sui territori di diversi paesi confinanti. 

Quanto a Napolitano, citiamo una sua dichiarazione: «Non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica il dramma del popolo giuliano-dalmata. Una tragedia rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali».

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giorgio-napolitano-big yIl 10 febbraio è il giorno in cui in Italia si commemora il massacro delle foibe. Un massacro che è stato anche, in pratica, il vile e atroce assassinio da parte di partigiani comunisti, alacremente coadiuvati dai partigiani di Tito, di partigiani non comunisti. In strettissima analogia con quanto accaduto in tutta l’Italia del Nord, nell’Emilia-Romagna in particolare. Se si vuole, demenziali fratricidi commessi da delinquenti accecati da un illusoria ideologia che santificava Stalin come padre dei popoli mentre era stato anche padre dei Gulag. Su questi fatti ignobili e scandalosi in Italia fu imposto per più di 50 anni il silenzio più indecente, ad opera dei comunisti sempre pronti a lapidare chi avesse osato emettere una pur minima obiezione che potesse infangare l’”eroico eroismo” dei partigiani comunisti. Una mitologia. E tra di loro quel semipresidente italiano (“semi” perché presidente solo di mezza Italia, quella di sinistra) che è stato Giorgio Napolitano, che un anno prima di deporre il bastone di comando per la strameritata quiescenza ha avuto la faccia tosta di proclamare la necessità di ricordare. Sì, proprio lui che per 50 anni non aveva ricordato!

soldati“Rai l” ha intervistato alla vigilia della commemorazione Paolo Mieli, giornalista e saggista di vasta fama, già direttore di “La Stampa” e poi del “Corriere della Sera”. Un discorso prudente, anzi prudentissimo il suo, potrei anche dire mellifluo e svicolante. Le responsabilità per gli eccidi bestiali (furono legate assieme con il filo spinato 3-4 persone nude e poi gettate vive in quei pozzi di 70 e più metri di profondità che sono le foibe) non sarebbero ancora storicamente accertate, ulteriori indagini dovranno contribuire a far chiarezza.

Mieli è un personaggio come ce ne sono tanti, colto e raffinato, sempre attento a non dispiacere a qualcuno (e probabilmente è anche per questa caratteristica che ha fatto carriera e che sempre viene chiamato ad esprimere pareri da radio e televisioni politicamente corrette su temi scottanti). Un uomo, per farla breve, che non esita a dire pane al vino e vino al pane. Sono personalità che già esistevano ai tempi preistorici. Ezechiele, profeta (una professione poco remunerata, caduta in disuso con l’avvento di Maometto) vissuto tra il 620 e il 570 a. C., ci ha lasciato una massima, scritta non so in quale lingua, pervenuta a me nella traduzione latina grazie al mio rimpianto maestro Romano Amerio: “Vae qui consuunt pulvillos sub omni cubitu et cervicalia pro omni capite”, guai a coloro che fanno cuscini per ogni gomito e guanciali per ogni testa. Aveva ragione Ezechiele, perché sono persone per bene che finiscono con il diventare antipatiche e insopportabili.

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Interessanti articolo e intervista di Wolfgang Koydl, sulla “Weltwoche” del 4 febbraio, concernenti Martin Selmayr, capogabinetto del presidente della Commissione UE Jean Claude Juncker. Selmayr è temuto, ammirato e rispettato, e da molti ritenuto l’uomo più potente di Bruxelles. La prima domanda dell’intervista riguardava naturalmente la votazione sull’espulsione dei criminali stranieri e sulle eventuali ripercussioni sul problema della libera circolazione. “Questa iniziativa è meno problematica di quella sulla libera circolazione, che ci conduce ai limiti di quanto possibile nel quadro dei trattati bilaterali”. Dove stanno questi limiti? “Se si paragona la situazione della GB con quella della Svizzera, quest’ultima non potrà ottenere, secondo il presidente Juncker, tutto quello che si concederà alla GB, per il semplice fatto che la Svizzera all’UE ha detto no, mentre la GB resta nell’UE”. “Trattate con la Svizzera, malgrado il fatto che il vostro punto di vista è che la libera circolazione non è trattabile?”. “Questa non è la posizione di Juncker, ma quella dell’ex commissaria agli Esteri, Catherine Ashton. Juncker dice che si può trattare su tutto. Ma i limiti stanno nei trattati. Si può essere flessibili, cercare spazi di interpretazione, ma se non ce ne sono non si può utilizzarli.”

L’intervista termina con una lode sconfinata (senza limiti, al contrario delle nostre trattative con Bruxelles, dovrei dire) del nostro Paese: coesistenza di idiomi e etnie, benessere e pace che irradiano in tutto il mondo. Cosa che anche l’UE sarebbe in grado di fare, ma per la realizzazione ha bisogno di uomini che capiscano il da farsi. La Svizzera potrebbe servire da esempio, e io, conclude il capogabinetto, mi rallegrerei se potessimo riprendere un colloquio di avvicinamento.

Noi, concludo io, no. L’UE consegni il potere a uomini in grado di ammettere il suo fallimento e di rimetterla in sesto sull’esempio della Svizzera. Poi ne riparleremo.

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Il tentativo della Signora Simonetta, che tanto buona e gentile appare ma non è, e della sua burocrazia, di giustificare l’aumento massiccio delle richieste d’asilo del 2015 con la guerra in Siria si rivela sempre più per quel che è: un tentativo di imbrogliare le carte. Si sapeva già che il forte aumento è dovuto a richieste di afgani e eritrei, che la guerra in Siria la soffrono tanto quanto gli svedesi. Adesso sono uscite altre cifre, che dimostrano che la percentuale di richiedenti l’asilo siriani nel 2015 è stata del 12%, quindi di secondaria importanza.

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Kurt Zimmermann, grandissimo colonnista mediatico (“Weltwoche”) che cito regolarmente, ha fatto notare la monolitica concordanza della stampa svizzera, ma anche europea, nel considerare Donald Trump alla guisa di un candidato pagliaccio. Attribuisce questa stranezza alla “sindrome dei lemming” (sono quella specie di topolini che popolano la tundra e che ogni tanto corrono in massa a buttarsi e annegare in acqua, spinti da non si sa bene quale ormone o follìa) di cui soffrono praticamente tutti i giornalisti. L’obbligo di nuotare nel mainstream è innato in loro, una conseguenza di un’altra legge, quella del branco, che procura incolumità e solleva dal dubbio. Se si pensa che Trump possa diventare presidente degli USA si diventa provocatori, come lo si diviene se se si critica la cultura dell’accoglienza di milioni di rifugiati o si auspica il “Brexit”.
Personalmente, l’elezione di Trump non la auspico, non perché tema di nuotare controcorrente, ma perché mi fa paura. Anche per un presidente della nazione egemone dovrebbero esserci limiti alla rozzezza e alla persuasione di presunta superiorità sul resto del mondo.

Gianfranco Soldati