Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, e visto la conferma italiana degli ultimi giorni, l’Italia ha adesso il maggior numero di decessi al mondo per la malattia causata dal coronavirus. Il tasso italiano è molto più alto della media globale. Molti decessi in Italia sono tra le persone anziane.
È proprio l’età della popolazione italiana che principalmente influenza il suo tasso di mortalità. L’Italia ha la popolazione più vecchia in Europa con il 23% dei residenti che hanno dai 65 anni in su. Un’età media di 47.3 anni rispetto ai 37 della Francia e ai 38.3 degli Stati Uniti. Un dato demografico che evidenzia la fascia di popolazione più suscettibile alle complicazioni del Covid-19.
I dati di una ricerca dell’epidemiologo Krys Johnson, professoressa presso il College of Public Health dell’Università di Tampa il Florida, dimostrano che con l’avanzare dell’età ci sono più possibilità di sviluppare una condizione che indebolisce il sistema immunitario rendendo le persone più sensibili alle malattie gravi come quella del nuovo virus.
È vero inoltre che avere molte persone in una singola regione che necessitano delle cure mediche perché gravemente malate, causa una sopraffazione del sistema medico sanitario. Così come è successo a Wuhan, in Cina, dove è iniziata l’epidemia e dove il tasso di mortalità è stato del 5,8% rispetto allo 0,7% nel resto del paese cinese.
Probabilmente, secondo la ricerca effettuata dalla Johnson, si deve tener presente anche che l’Italia non sta considerando i casi lievi di coronavirus. Le persone più giovani o quelli con lievi sintoni, potrebbero non essere state sottoposte al test. Questo farebbe ridurre il tasso di mortalità complessivo man mano che i test si espandono all’interno di una determinata area. “Non sappiamo quante persone sono state effettivamente infettate”, ha detto la Johnson.
Come è anche probabile che ci possa essere un focolaio piuttosto importante che avrebbe bisogno di essere approfondito con ulteriori test per meglio identificarlo.
L’Italia lotta dallo scorso 20 febbraio, da quando è stato riscontrato il “paziente n.1” a Codogno, un comune del nord Italia della provincia di Lodi, per contenere la nuova infezione. Ma l’ospedale Sacco di Milano aveva trovato tre sequenze genetiche nella parte settentrionale della regione Lombardia, confermando il nuovo virus settimane prima che i medici trovassero il primo paziente.
L’intero sistema sanitario italiano non era pronto per questa emergenza, e il virus quando è atterrato in Italia dalla Cina, era ancora in incubazione. Così come suggerisce Massimo Galli, direttore del Dipartimento di scienze biomediche e cliniche dell’ospedale milanese Sacco. Il caso è scoppiato quando alla fine di dicembre un numero insolito di casi di polmonite si è presentato all’ospedale di Codogno. Un numero non precisato di questi pazienti, che sono stati trattati in base alle tipiche malattie invernali, ha in realtà trasportato il coronavirus.
Ora, a quanto pare, l’Italia sembra che stia rispondendo molto bene.