È interessante osservare l’abilità di Pechino nell’aver riportato la calma ad Hong Kong dopo 18 mesi di manifestazioni, sommosse e scontri.

Molti osservatori politici e specialisti di Hong Kong mesi fa davano per certo l’arrivo da Pechino dell’esercito per riportare ordine e calma, ma sbagliavano i calcoli sottovalutando i poteri “soft” che un Partito-Stato può mettere in atto. Con le buone, più che con le cattive, tutto è tornato alla calma. Perlomeno apparente.

Foto Wiki commons (chensiyuan)

Proprio in questi giorni si è celebrato il funerale di “one country, two sistems” (un paese, due sistemi) cioè l’esplicitazione degli accordi del 1984, conclusi nel ’97, tra Deng Xiaoping e la Premier britannica Thatcher. Accordo base con il quale Hong Kong e Macao si sono ricongiunti alla madre patria cinese con la promessa per 50 anni di essere una “regione amministrativa speciale”. Cioè a dire, una regione basata su un modello democratico di separazione dei poteri, libertà civili e politiche per i residenti fino al 2047.

Il 1° luglio 1997 mentre il Principe Carlo da Hong Kong stava per salpare le ancore sul “ Britannia” dopo l’ammaino della bandiera annotò, dopo 156 anni di dominio coloniale che “qualunque cosa si possa oggigiorno dire sulla colonizzazione, Hong Kong è stato un notevole esempio di come si possono fare bene le cose”.

L’episodio che sancisce la fine degli accordi è la decisione di radiare quattro oppositori dal Parlamento che è diventato un “funerale” pacifico, senza dimostrazioni. Le esequie della struttura democratica di Hong Kong è epitomizzato dall’estromissione dei parlamentari dal Legislative Council, il Parlamento di Hong Kong, perché non degni dei princìpi introdotti di recente da Pechino per la sicurezza nazionale.

Un diktat non certamente in linea con le regole concordate su Hong Kong che con la nuova legge possono essere espulse dal Parlamento le persone che sostengono l’indipendenza di Hong Kong o che invitano interferenze straniere che si occupano di questioni interne della Cina (ivi inclusa la Provincia Autonoma di Hong Kong).

Uno degli espulsi ha affermato “oggi è il giorno più triste per noi” mentre Carry Lam, capo dell’esecutivo di Hong Kong, ha dichiarato che le decisioni sono in linea con la costituzione, legali, ragionevoli e necessarie. Punto a capo!

Altri 15 deputati dell’opposizione pro-democratica (nel Legislative Council) si sono subito dimessi per protesta e solidarietà, anche se la signora Lai ha chiosato “che nel Parlamento tutto funzionerà anche senza di loro”. Sarà un Parlamento senza oppositori.

A poco a poco, con un “colpo al cerchio ed uno alla botte”, Pechino sta riportando il territorio sotto controllo con gli arresti dei dissidenti che hanno protestato nei mesi caldi, condannandoli per i reati previsti dalla nuova legge fino al carcere a vita, processi a giornalisti, incoraggiamenti ad andarsene, oltre alla coercizione morale per le grandi aziende, holding conglomerate e le grandi banche che traendo la maggioranza dei profitti dalla stessa Hong Kong sono costrette a supportare il cambio della musica.

Hong Kong ha alimentato il suo successo con l’immigrazione clandestina del secolo scorso: certamente questi immigrati non vedono di buon occhio i cambiamenti, ma negli ultimi anni la situazione è cambiata. Ci sono molti cinesi arrivati dalla Cina di recente in cerca di opportunità che sono già più abituati al modello cinese. Non mancano poi gli indifferenti che non prendono posizione. Un panorama quindi frastagliato e non a senso unico che aiuta il controllo della situazione.

Peraltro una lezione, un messaggio di Pechino tutt’altro che criptico, ci proviene dall’operazione di borsa “Ant”, per ora abortita. Doveva avere luogo su due mercati: Hong Kong e Shanghai. Quasi a dire ad Hong Kong “non tirate la corda, ormai abbiamo alternative”.

Jamil Anderlini sul Financial Times di oggi si domanda se con il 1° luglio, data in cui è entrata in vigore la legge di Pechino sulla sicurezza nazionale, sia finita per sempre la de-colonizzazione inglese o se invece la data dovrà essere ricordata per l’inizio della ri-colonizzazione: questa volta cinese.

Vittorio Volpi