Una brusca inversione nel lento processo democratico è avvenuta oggi nella Repubblica dell’Unione del Myanmar quando le forze armate hanno organizzato all’alba un colpo di stato arrestando diversi politici di alto livello, tra cui la consigliera di Stato e premio Nobel Aung San Suu Kyi.

Il generale comandante in capo dell’esercito birmano, Min Aung Hlaing, ha assunto il potere sostenendo che il sequestro è riconosciuto secondo la costituzione in casi di stato di emergenza, e si è reso necessario perché il governo non aveva agito in base alle accuse di frode elettorali fatte presenti dai militari durante le elezioni di novembre e perché è stato permesso lo svolgimento delle elezioni nonostante la pandemia da coronavirus. Ha affermato inoltre, durante un annuncio emesso sulla rete televisiva di proprietà militare, che sarà a capo del paese per un anno, affidando la presidenza ad interim al generale Myint Swe.

I militari avevano avvisato la consigliera di Stato e il presidente Win Myint che sarebbero intervenuti se le accuse di brogli elettorali non fossero state chiarite. La commissione elettorale però non ha trovato irregolarità. La verità, secondo gli analisti, è che visto che è riuscita ad umiliare nelle ultime votazioni i partiti sostenuti dai militari, l’esercito temeva che Suu Kyi avrebbe usato il suo nuovo mandato per riformare la costituzione e rimuovere la stretta militare dal potere.

Il colpo di stato è avvenuto proprio il giorno in cui doveva iniziare la prima sessione del nuovo parlamento dopo il voto di novembre. Il progresso verso la democrazia viene ora interrotto dopo che il paese aveva già trascorso cinque decenni di rigido governo militare accompagnato da un embargo internazionale che ha isolato economicamente il Myanmar rendendolo uno dei paesi più poveri e meno sviluppati del mondo.

Dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948, l’ex colonia inglese nota come la Birmania viveva in uno stato di democrazia. Ma le lotte intestine dilaganti, corruzione e persecuzione etnica, hanno fatto perdere il controllo al governo e nel 1962 l’esercito formò con un colpo di stato un governo di unità nazionale, passando di fatto ad una dittatura militare.

A seguito di graduali riforme politiche e con la scarcerazione degli oppositori, i militari diedero vita ad un governo misto civile-militare convocando nel 2015 le elezioni generali per un nuovo parlamento nazionale. In quell’occasione, la Lega Nazionale per la Democrazia, partito della Suu Kyi, ha ricevuto clamorosamente la maggioranza assoluta dei seggi. Ma Suu Kyi, che era stata una feroce antagonista dell’esercito durante gli arresti domiciliari, dal suo rilascio e dal suo ritorno alla politica, ha dovuto comunque lavorare con i generali del paese che non hanno mai rinunciato completamente al potere.

Suu Kyi, oggi 75enne, è rimasta molto popolare in patria. Figlia del generale Aung San, che aiutò a conquistare l’indipendenza del paese, era diventata dopo 15 anni di arresti domiciliari un’icona della pacifica resistenza democratica, lodata con premi come il Nobel, il Sakharov e la medaglia presidenziale della libertà degli Stati Uniti. Ma il riguardo mostrato verso i generali quando arrivò al punto di difendere le crudeli azioni contro i musulmani Rohingya, che i leader mondiali etichettarono come genocidio, ha rovinato la sua reputazione a livello internazionale offuscandola per anni.

La promessa della liberazione economica e lo sviluppo desiderato per i più poveri, non è mai arrivata. Il concetto di nazione per Suu Kyi è legato all’identità etnica. Proprio il suo punto cieco, vista la difficile situazione delle molteplici minoranze etniche del Myanmar, minoranze che avrebbe dovuto difendere, in quanto emarginate.

Per alcuni, la presa del potere di oggi è vista come una conferma che l’esercito detiene il potere supremo nonostante l’apparenza di democrazia. I militari, che hanno scritto la costituzione, controllano il 25% dei seggi parlamentari e alcuni ministeri chiavi del governo, tra cui quello della Difesa.

L’azione è stata condannata a livello internazionale. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, ha espresso “grave preoccupazione e allarme” degli Stati Uniti, invitando i leader militari al rilascio immediato di tutti i funzionari del governo civile e al rispetto della volontà del popolo espressa nelle ultime votazioni democratiche dell’8 novembre. Ha inoltre promesso di “agire” se il colpo di stato militare del Myanmar non venisse revocato.

La Cina, che ha interessi nel settore del petrolio e del gas in Myanmar e che a lungo è stata sostenitrice dell’esercito, si è limitata a prendere atto del colpo di stato e ha esortato tutte le parti a risolvere le loro differenze. “Abbiamo preso nota di quello che è successo e siamo in procinto di comprendere ulteriormente la situazione”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin.

Tra le varie condanne, anche la Svizzera ha preso posizione per “sostenere le aspirazioni del popolo del Myanmar per la democrazia, la pace e lo sviluppo”, invitando l’esercito a rivedere le sue azioni.

I residenti si sono svegliati oggi con un blackout delle comunicazioni e con le applicazioni che utilizzano Internet non funzionanti con la connettività nazionale scesa al 75% dei livelli normali. La radio e televisione statale del Myanmar ha dichiarato in un post su Facebook di non essere in grado di trasmettere. I nuovi legislatori eletti si sono barricati sorvegliati dai soldati. Quando le comunicazioni sono state ripristinate alcune ore dopo, immagini e video mostravano soldati armati in tuta mimetica sulle strade. Alcune delle autostrade che attraversano la capitale sono state bloccate da camion militari e barricate di filo spinato. Finiscono così dieci anni di libertà