Traffic light sign in flood. Free public domain CC0 image.

Oltre 11mila morti in Libia, a Derna, dove due dighe sono crollate innondando la città. Altre 10’100 persone risultano diverse e circa 40mila persone si sono ritrovate senza una casa. 

Nelle ultime 24 ore sono stati seppellite 5mila salme in fosse comuni, nonostante l’ONU avesse esortato a non farlo per poter restituire un giorno alle famiglie i resti dei loro cari. Ma la paura per il rischio di contagi ed epidemie è grande. 

I sopravvissuti vagano per la città distrutta cercando i propri cari tra le macerie ma il bilancio dei morti rischia di peggiorare in modo drammatico. “Abbiamo ancora speranza di trovare le persone vive” ha dichiarato un funzionario della Croce rossa, ma le autorità di Derna ipotizzano che il numero di vittime potrebbe arrivare a 25mila. Ritrovare i corpi inoltre risulta difficile, molti sono stati trascinati per chilometri dall’acqua. 

Intanto sale anche la rabbia e si cercano i responsabili del disastro. Molti ritengono che la corruzione, la mancanza di manutenzione e la fatiscente delle infrastrutture abbiano avuto un ruolo importante nel peggiorare le conseguenze del disastro naturale. Sembrerebbe che siano passati ben tre anni dall’ultima volta che dei fondi siano stati assegnati al mantenimento della infrastrutture, soprattutto a causa dell’instabilità politica che regna nella regione. 

Alcuni studi accademici infatti avevano segnalato la debolezza strutturale delle due dighe: “Lo stato lo sapeva bene, sia attraverso gli esperti della Commissione pubblica per l’acqua, sia attraverso le società straniere che erano venute a valutare le condizioni delle dighe”, ha dichiarato l’autore dello studio Abdul Wanis Ashou. 

Le autorità libiche hanno aperto un’indagine e il principale indagato sembra essere proprio l’attuale amministrazione della città di Derna. Sotto la lente anche le misure adottate nelle ore immediatamente precedenti alla tragedia, sembra che le autorità cittadine abbiano imposto un coprifuoco alla popolazione, impedendo di fatto la fuga.