La SECO, ancora una volta, ci racconta di “tassi di disoccupazione bassi” anche in Ticino.
Peccato che, come ben sappiamo, il tasso di disoccupazione della SECO è farlocco, in quanto
riferito solo alle persone iscritte agli Uffici regionali di collocamento. Ma un numero crescente di
senza lavoro non è iscritto agli URC, sicché il dato risulta sballato. C’è allora da chiedersi (domanda
retorica) per quale motivo ci si ostini ad utilizzarlo. Ma la risposta è ovvia: per abbellire la
situazione e nascondere gli effetti della devastante libera circolazione delle persone.
Intanto però il Ticino, anche in base alle statistiche taroccate della SECO, rimane il sesto Cantone
con il tasso di disoccupazione più alto.
Pertanto, la narrazione nel segno del “Tout va très bien, Madame la Marquise” non risponde alla
situazione del territorio cantonale. Gli indicatori in tal senso non mancano. Però vengono
silenziati.
Ad esempio: Lugano da ormai quasi 15 anni offre un servizio di promozione dell’occupazione, a
sostegno degli abitanti della città (LuganoNetwork). Da agosto 2020, esso comprende una nuova
iniziativa: Spazio lavoro e formazione. Agli utenti viene messo a disposizione materiale informativo
sui posti vacanti. I partecipanti sono inoltre aiutati nella redazione di un cv e di una lettera di
motivazione efficaci. Spazio lavoro propone anche dei momenti formativi per aiutare i candidati
nel loro percorso di ricerca di un impiego. Dalla sua apertura, questo servizio ha accolto circa 770
utenti. Ebbene: oltre i due terzi di loro non risultano iscritti alla disoccupazione, e quindi non
figurano nelle statistiche della SECO.
Altro dato di cui non si parla. Rispetto allo scorso anno, il numero dei posti di lavoro vacanti
annunciato a livello nazionale è drasticamente calato: -11’645 posti, che corrisponde ad una
contrazione di oltre il 20%. Sarebbe interessante sapere quali sono le regioni più colpite dal
fenomeno. C’è il “vago sospetto” che il Ticino sia tra queste, anche in considerazione delle recenti
chiusure aziendali!
Un ulteriore campanello d’allarme arriva dalla stampa italiana. Nei giorni scorsi il quotidiano “La
Provincia” di Como titolava: “Un lavoro in Ticino, le opportunità diminuite del 33%”. La cifra
proviene da uno studio di ManPower. E’ palese che le opportunità di lavoro non si riducono solo
per i permessi G, ma anche per i ticinesi!
Gli impieghi non ci sono per chi vive qui; eppure il Consiglio di Stato, in tandem con il Consiglio
federale, insiste nel voler collocare i profughi ucraini. E’ evidente che tali collocamenti – oltretutto
promossi con soldi e sostegni amministrativi pubblici – avverrebbero a scapito dei residenti. In altri
Cantoni magari no, ma in Ticino di sicuro, vista la situazione che ci ritroviamo sul territorio. Tanto
più che non stiamo parlando di piccoli numeri: l’obiettivo sarebbe quello di “integrare
professionalmente” oltre un migliaio di ucraini…
Frontalieri e telelavoro
Che il magnificato nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri farà diminuire la pressione dei
permessi G sul mercato del lavoro ticinese, è ancora tutto da dimostrare. Come noto la tassazione
più elevata si applicherà solo ai nuovi frontalieri. E, nel corso degli anni, il continuo rafforzamento
del franco rispetto all’euro ha concretamente rimpinguato la busta paga dei pendolari italiani: di
fatto, il futuro aggravio fiscale risulta già compensato.
E intanto Berna sconsideratamente promuove il telelavoro dei frontalieri. Nei giorni scorsi il
Consiglio nazionale ha approvato, con un solo voto contrario – quello di chi scrive –, l’accordo al
proposito con la Francia, che autorizza i frontalieri dell’Esagono a trascorrere fino al 40% del
tempo lavorativo in home office (in Ticino la percentuale concordata con Roma è del 25%).

Il telelavoro dei frontalieri è deleterio per il Ticino. Per ovvi motivi, solo gli impiegati del terziario
amministrativo possono farvi capo. Ma chi assumerà ancora ticinesi in questi settori – che sono
proprio quelli più gettonati dalla popolazione indigena – davanti alla possibilità di reclutare
frontalieri facendoli lavorare da casa, ovviamente a paghe italiane?
E’ poi evidente che il rispetto del limite massimo del 25% di smartworking sarà impossibile da
controllare.
Contraccolpi telefonici
Per non farsi mancare niente, nei giorni scorsi Swisscom ha firmato il contratto per l’acquisto di
Vodafone Italia, allo stratosferico prezzo di 8 miliardi di euro. Se qualcosa dovesse andare storto,
non ci vuole il Mago Otelma per prevedere che l’ex regia federale taglierà in Svizzera: sia sui posti
di lavoro che sulle infrastrutture. E ad andarci di mezzo saranno in particolare le regioni
periferiche. Pensiamo ad esempio agli investimenti necessari alla posa della fibra ottica in Ticino,
indispensabile per lo sviluppo di quelle “nuove tecnologie” con cui tutti oggi si sciacquano la
bocca.
Ricordiamoci che, una volta concretizzata l’acquisizione, Swisscom sarà molto più italiana che
svizzera: Vodafone Italia ha oltre il triplo degli utenti di Swisscom! E’ ovvio quindi che il “centro
degli interessi” dell’azienda, per quanto detenuta al 51% della Confederazione, si sposterà al di là
del confine.
“Tout va bien, Madame la Marquise”? Non proprio!

Lorenzo Quadri
Municipale di Lugano
Consigliere nazionale
Lega dei Ticinesi