La sera dell’11 luglio 1979 – era quasi mezzanotte – rincasando dopo una serata trascorsa con amici Ambrosoli fu avvicinato sotto il suo portone da uno sconosciuto. “Avvocato Ambrosoli?” Egli si girò d’istinto verso quella voce. “Sono io. Che c’è?”  Quattro colpi di 357 Magnum partirono in rapida successione. Gli avevano mandato dall’America un killer malavitoso di nome William Joseph Aricò, pagato da Sindona 25 000 dollari in contanti, con un bonifico di altri 90 000 dollari su un conto svizzero. Nessuna autorità presenziò ai funerali di Ambrosoli, ad eccezione di alcuni esponenti della Banca d’Italia.

Aricò

L’8 maggio 2013 Massimo Gramellini scriveva sulla Stampa (tratto dal portale del sen. Pietro Ichino, www.pietroichino.it):

Mentre il consiglio regionale della Lombardia rendeva omaggio al fantasma di Andreotti, il capo dell’opposizione Umberto Ambrosoli è uscito dall’aula. Suo padre, l’avvocato Giorgio, fu ammazzato sotto casa in una notte di luglio per ordine del banchiere andreottiano Sindona: aveva scoperto che costui era un riciclatore di denaro mafioso. Trent’anni dopo Andreotti commentò l’assassinio di Ambrosoli con queste parole:
«Se l’è andata a cercare»***.

Il perdono è una cosa seria. È fatto della stessa sostanza del dolore e si nutre di accettazione e di memoria, non di ipocrisie e rimozioni forzate. La morte livella, ma non cancella. Con buona pace del quotidiano dei vescovi che ieri titolava: «Ora Andreotti è solo luce». Per usare una parola alla moda, Andreotti era divisivo. Lo era da vivo e lo rimane da morto. Purtroppo anche Ambrosoli.

Perché esistono due Italie, da sempre. E non è che una sia «buona» e l’altra «cattiva», una di destra e l’altra di sinistra (Giorgio Ambrosoli era un liberale monarchico). Semplicemente c’è un’Italia cinica e accomodante – più che immorale, amorale – che non vuole cambiare il mondo ma usarlo. E un’altra Italia giusta e severa – più che moralista, morale – che cerca di non lasciarsi cambiare e usare dal mondo.

Due Italie destinate a non comprendersi mai. Un’esponente lombarda del partito di Berlusconi ha detto che il figlio di Ambrosoli ha mancato di rispetto al morto. Non ricorda, o forse non sa, che anche Andreotti aveva mancato di rispetto a un morto.
Quell’uscita dall’aula se l’è andata a cercare.

*** Il divo Giulio aveva fama – soprattutto presso i nemici – di uomo cinico. Pronunciò egli realmente questa frase?