Vanitas 6Da Carla Bruni a Elle McPherson, da Francesca Ne­ri a Andie MacDowell, Antonio Guccione ha fotografato le donne più belle del mondo. Protagonisti dei suoi ritratti sono le icone della cultura e dello show biz: Alberto Moravia e Arnaldo Pomodoro; Federico Fel­lini, Giorgio Armani e Richard Gere. E sono ritratti in­confondibili, intensamente pittorici, figli di una voglia unica di giocare e di sperimentare. Sdoppiamenti e tra­vestimenti, scorci di intimità e trionfi su tempestosi cieli tiepoleschi . Antonio Guccione xE poi ci sono le foto di moda. Già all’esordio, poco più che ragazzo, si fa notare per i grafismi geome­trici, per il modo in cui le forme, nelle sue mani, attraverso il suo obiettivo, perdono l’ovvietà della propria realtà per diventare materiale nuovo. E per i colori acce­si, rutilanti, zuccherosi. Foto di moda, dunque, ma dove il soggetto va oltre la semplice valorizzazione estetica per diventare strumento in una partitura di impeccabile ar­monia . Artista, dunque. A tutti gli effetti. In fondo, la svolta che in questi ultimi anni lo ha portato verso una fotografia diversa non è poi così drastica come sembra al­la prima occhiata. I suoi teschi sono, ancora, ritratti. Che lui racconta con l’entusiasmo di un ragazzino e con que­gli occhi mobilissimi scintillanti di orgoglio.

Il primo, un imponente Benito Mussolini, nasce quasi per caso. Guccione fotografa questo oggetto da un’angolazio­ne ribassata, ne fa un monumento su un fondo dai colori caldi, vagamente aciduli. La somiglianza si coglie dopo. E lui, l’artista, con la sua consueta prontezza ad afferrare lo spunto e la sua voglia di giocare, ci prende gusto. La serie nasce così. E la somiglianza di ogni soggetto al suo teschio- perché la somiglianza c’è, sul serio, al netto di tutto ciò che viene aggiunto – ora la ottiene affidando la realizzazione della materia prima (il teschio, appunto) a un’azien­da tedesca che si basa sul volto reale per intuire le fattezze del cranio. Il gioco è al tempo stesso pop e profondamen­te concettuale, ma ogni ritratto è unico, anche per proce­dimento, significati, simbolismi e associazioni. Ecco Andy Warhol. Con l’immancabile parrucchino, certo, ma anche virato in un rosso sanguigno. Ci guarda dritto negli occhi e lo sguardo, potremmo giurarlo, è proprio il suo: scanzo­nato e sornione al tempo stesso. Ecco Jackson Pollock, il cui teschio pare liquefarsi in un dripping di fluidi colori puri. Vanitas 3Ecco un Leonardo da Vinci citazionista. La lunga barba fluente attaccata pelo per pelo. Già, perché Guccio­ne è un purista, postproduzione e Photoshop sono usati in maniera minima, omeopatica, verrebbe da dire. Quel­lo che l’occhio vede nelle sue fotografie è stato messo lì dalle sue mani. Sculture vere e proprie, insomma, che poi l’artista distrugge perché quello che conta è la foto, la te­stimonianza. E poi del resto è proprio questo che le Vani­tas ci insegnano, no? Che nulla resta.

Ritratto dopo ritratto il gioco lo prende. Lui cambia sti­le, amplia la sfida. Marilyn Monroe inclina la testa, e ba­sta quell’angolazione minima a illuminare tutto di una luce tragica (ancorché sia uno dei pochi scatti dominati dal bianco) e a trasformare il solco dell’osso in una la­crima. Frida Kahlo si sdoppia per raccontare il dramma della sua prigionia in un letto e l’ossessione degli autori­ tratti allo specchio, e i due teschi, issati su terribili co­lonne vertebrali di metallo, inalberano un roseo bouquet in cima alla testa. I fiori di Frida, sì, ma anche una stri­ dente nota di colore nel buio. Antoi:r{e de Saint-Exupéry è immerso nell’acqua , circondato dai pesci. Il Piccolo Principe, con il suo inconfondibile mantello foderato di rosso, è un bambolotto sullo sfondo. Questo è forse il la­voro più pittorico – con una costruzione teatrale degli spazi – e al tempo stesso più narrativo. Uno spunto an­cora diverso sta alla base del ritratto dei Beatles. Guccione parte dalla copertina dell’album Beatlemania, del 1963, e mantenendo intatta l’impostazione ad ango­lo e il fondo nero trasforma in teschi i volti di John Len­non e George Harrison, lasciando identici i visi degli altri due componenti del gruppo. E poi ci sono i mistici. Jesus come un’apparizione virata in seppia con la corona di spine appoggiata direttamente sul cranio, Gandhi – l’uni­ co a figura intera – avvolto nella sua tunica candida e Mar­tin Luther King: teschio nero abbandonato su un giaciglio a stelle e strisce. Luca della Robbia è uno dei ri­ tratti più intensi e struggenti. Il più potente e il più den­so per simbolismi e significati. Il teschio è opera dello stesso Luca della Robbia: una straordinaria scultura in ceramica che risale al 1481. Accanto, come in una natu­ra morta, quattro limoni che però si rivelano fatti di ce­ra. Il fondo è di un nero vellutato e profondo, impenetrabile. La sensazione è quella di un silenzio so­speso.

Vanitas 1Il percorso si chiude con un ritratto a Yves Saint-Laurent in cui l’artista concede un meritato omaggio a se stes­so. Frontale e decisamente sorridente, il teschio dello sti­lista francese di origine algerina indossa i tipici occhiali (quelli veri!) che hanno reso il suo volto un simbolo e si appoggia fiero su un volume – un pezzo di storia – a lui dedicato e firmato da Marguerite Duras. Intorno, come in una visione di Bergman, danzano nere silhouette fem­minili ritagliate sulle più belle foto di moda di Antonio Guccione. Tout se tient, insomma. Mentre il falò delle Vanitas continua a bruciare, tra malinconia e note gla­mour.

Alessandra Redaelli