Questo articolo pone l’accento su quello che è, per noi, il cuore del dibattito (i nostri avversari ne parlano il meno possibile, ed è facile capire perché): l’indipendenza e l’equilibrio dell’informazione della Ssr/Rsi.

* * * 

Premettiamo una cosa: noi scriviamo a futura memoria e anche per far divertire i nostri quattro lettori, ma soprattutto per divertirci noi e sfogare il cattivo sangue e la depressione che ci trasmette la lettura delle stupidaggini che vanno scrivendo certi presuntuosi contrari a No-Billag, che nella loro saccente sicumera credono di possedere la verità e la cultura in esclusiva (ultimo in ordine di tempo ma non per graduatoria di presunzione e saccenza: il signor Bruno Besomi oggi 21 febbraio sul CdT).

Non ci illudiamo tuttavia di poter controbilanciare con le nostre argomentazioni l’artiglieria pesante dei fautori del No, che dilagano senza limiti negli spazi della stampa scritta (oltre che sulle onde della radio-tv di Stato). La stampa scritta ha fatto una chiara scelta di campo, quella di asservirsi al carro della Tv di Stato. Si tratta al contempo di una scelta di conformismo di regime ma pure, in alcuni casi, di una scelta di interesse finanziario molto prosaico e banale: qualche gruppo editoriale è indirettamente fra i beneficiari della manna Billag e quindi ovviamente avversa chi vuole sopprimere il flusso della manna. Si tratta, è vero, visto sulla scala complessiva, delle briciole della tassa Billag (2 milioncini di franchi o due e mezzo, o giù di lì, per ciascuna televisione regionale; il grosso, più del 90 percento, se lo pappa la SSR), ma sono delle briciole su cui nessuna azienda naturalmente ci sputa sopra. Inoltre, se il flusso suddetto verrà preservato, c’è sempre la speranza che l’entità delle briciole possa diventare un po’ più ragguardevole (purché la Provvidenza assicuri lunga permanenza a Berna al nostro simpatico consigliere agli Stati, abile tessitore di questo «inciucio» inverecondo tra pubblico e privato nonché paladino delle radio-tv private….sussidiate dallo Stato).

Il nostro libero pensiero, che possiamo esprimere solo grazie alla amichevole condiscendenza del professor De Maria***, sta alla quantità degli spazi a disposizione dei contrari – se mi è concessa questa metafora bellica – come le frecce degli indomiti guerrieri gallici, divisi e riottosi a ogni disciplina e organizzazione, stavano alle temibili e soverchianti falangi romane, che avanzavano come rulli compressori….

[***Attento Camillo, tieni presente che questo non è il Washington Post…, ndR]

Molti fautori del No a No-Billag argomentano dicendo che occorre difendere il servizio pubblico (che secondo loro è perfetto ed equilibrato e rispecchia tutte le sensibilità e le identità del nostro microcosmo svizzero) per evitare di cadere in mano a temibili squali stranieri (tipo Murdoch, Berlusconi) o svizzeri (tipo Blocher), che poi penserebbero solo a manipolare l’utente per i loro fini politici o commerciali. Il paventare tali scenari apocalittici riguardo a un temuto eventuale futuro televisivo in balìa dei privati, glissando invece sulle manipolazioni reali e vigenti dell’attuale tivù pubblica, ci farebbe un po’ sorridere… se non ci facesse piangere per la irrimediabile ingenuità (o malafede?) di chi svolge simili argomentazioni.

Vorremmo passare quindi rapidamente in rassegna alcune prassi manipolatorie e alcuni palesi casi di faziosità o di assenza di spirito critico nell’informazione delle reti SSR (pur essendo consapevoli beninteso che la SSR non ha la privativa della tendenziosità e tantomeno dello scarso spirito critico di fronte al potere, che purtroppo – les hommes étant ce qu’ils sont – sono diffusi, dove più dove meno, anche in altri media e, d’altronde, anche partout ailleurs).

La faziosità (cioè l’informazione deformata per accreditare un certo orientamento politico oppure per mettere in cattiva luce una certa corrente politica o una certa branchia economica e così via) e l’assenza di spirito critico, sono due fattispecie diverse, ma entrambe possono essere molto deleterie. Ed entrambe sono state e sono tuttora ben presenti nella Tv di Stato cosidetta di servizio pubblico (non meno che in altri massmedia, ma nella carta stampata sussiste per fortuna una certa residua varietà che fa sì che vi siano alcuni giornali di qualità che potremmo definire di nicchia che sono caratterizzati da uno spiccato senso critico in specie vis-à-vis del potere politico).

Per far capire che cosa intendo dire farò due esempi di resoconti-tipo riferiti al mondo economico e finanziario. Una informazione tendenziosa sul mondo economico e finanziario è per esempio quella che spesso nei passati anni e decenni ha portato a enfatizzare in modo eccessivo degli scandali o anche semplicemente delle difficoltà che si riscontravano nel mondo bancario elvetico (mi ricordo che già 30 anni fa l’amico Elio Bernasconi, già giornalista di «Gazzetta Ticinese» e del «Paese» nonchè redattore del periodico dell’Alleanza Liberi e Svizzeri, aveva coniato uno slogan efficace che recitava:

«Ogni cattiva notizia per l’economia svizzera o per la piazza finanziaria svizzera è una buona notizia per la SSR e per la RSI»). Di questo tipo di informazione ve ne fu a iosa; si può anzi affermare tranquillamente che questo era il fil rouge che caratterizzava la maggior parte dei resoconti tivù sul mondo bancario e finanziario svizzero, laddove va detto che vi era una sindrome a prima vista paradossale (ma in realtà di una logica molto lineare): ogni volta che il sistema bancario svizzero era in conflitto con gli USA e con il mondo finanziario americano, la nostra tivù di Stato (che pure era da tempo immemorabile antiamericana, anti-capitalismo americano e anticapitalista tout court) parteggiava a favore degli «inquisitori americani» e del loro moralismo peloso e contro il mondo finanziario svizzero e la Svizzera tout court. Insomma vi sono sempre state due idiosincrasie, due atteggiamenti tendenziosi: quello anticapitalistico e quello antisvizzero. E quest’ultimo surclassava il primo, forse in omaggio alla massima che «nel dubbio si sta con chi è più potente». Si può citare il caso dei cosidetti «fondi ebraici», quando un certo mondo finanziario nuovayorchese con l’ausilio dell’Amministrazione Clinton mise la Svizzera sotto ricatto. Si può citare il famoso caso UBS. E gli altri a seguire nel corso degli anni seguenti. Questo tipo di tendenziosità aveva una motivazione ideologica, vi era alla base una prevenzione ideologica.

Il peccato di insufficiente senso critico – anch’esso molto diffuso e molto deleterio – dà invece un po’ meno nell’occhio. Per capacitarsene occorre seguire i resoconti dei giornalisti economici con regolarità e su un periodo abbastanza lungo di tempo; e occorre avere un po’ di memoria, ovvero: quando si legge oggi un resoconto di un certo giornalista (o di un determinato giornale o di una determinata tivù), talvolta è utile confrontarlo con quanto lo stesso giornalista (o lo stesso giornale o la stessa trasmissione tivù) dicevano pochi anni addietro. Talvolta si scoprono in tal modo delle contraddizioni plateali: prendiamo per esempio il famoso caso UBS-Ospel, quando la prima banca svizzera si trovò qualche anno fa in gravi difficoltà a margine della faccenda dei sub-prime statunitensi. Naturalmente la tivù e la stampa (compresi i giornali e giornalisti economici) si scatenarono contro la leggerezza e talvolta anche gli errori della dirigenza di quell’istituto di credito nell’approcciarsi al mercato finanziario USA; si disse che ci si era lasciati guidare solo dalla brama di denaro a corto termine, senza vedere i rischi a medio termine, e così via. Tutto probabilmente vero, ma che cosa avevano detto i giornalisti economici della tv e della carta stampata qualche anno prima? Se si andava a controllare, nella maggior parte dei casi si scopriva che non solo non avevano messo per niente in guardia dai pericoli insiti nei subprime e in altre speculazioni, ma al contrario avevano tessuto le lodi di Ospel e della dirigenza UBS (o di altre banche), in qualche caso presentandoli quasi come dei genii della finanza o comunque mettendoli sistematicamente sotto una luce positiva, descrivendoli come managers brillanti, eccetera. Questo leccapiedismo dei media può essere deleterio, prima di tutto perché può indurre in inganno i cittadini e gli investitori sull’affidabilità di certe pratiche o di certi prodotti finanziari, e in secondo luogo perché può rafforzare nei managers in questione una eccessiva sicurezza di sè e confermarli pericolosamente nel loro delirio di onnipotenza. Certo, il senso critico è difficile da praticare, perché presuppone competenza (che non sempre i giornalisti hanno) e indipendenza (che talvolta può essere scomoda). È infatti più comodo riferire acriticamente quanto la banca (o qualsiasi altra datrice di informazione, per esempio il Governo) comunica…

Domani, se l’editore di questo portale online avrà l’amabilità di ospitarmi, continuerò il discorso, facendo alcuni esempi puntuali e concreti di informazione tendenziosa e manipolatoria delle reti tivù SSR negli ultimi mesi. Giova infatti illustrare due o tre casi concreti di come si è manipolata l’informazione, per far capire a qualche «manipolato a propria insaputa» come funziona. E questo quantunque abbia ragione il consigliere nazionale Lorenzo Quadri che, rispondendo qualche settimana fa su questo portale a una domanda di De Maria, diceva giustamente che «lo sbilanciamento a sinistra è percepito dalla maggioranza dei ticinesi. E non avviene necessariamente (o comunque non solo) tagliando fuori la controparte, ma tramite l’impostazione di fondo. Pretendere elenchi di casi concreti, come fanno i dirigenti della RSI, significa infischiarsene del parere della popolazione».

Paolo Camillo Minotti