Gli avvisi sono unanimi: Nel suo bunker di Tripoli, semi-distrutto da un bombardamento degli Stati Uniti nel 1986, Muammar Gheddafi sta vivendo gli ultimi giorni del suo lungo regno.
Un regno iniziato nel 1969, quando il 27enne Muammar Abou Minyar al Gheddafi rovesciò la monarchia con un colpo di Stato e si insediò al potere, fregiandosi del titolo di colonnello e di Guida della Rivoluzione.
Il cerchio attorno a Gheddafi si sta restringendo. Malgrado parte dell’esercito sia ancora ai suoi ordini e stamane abbia bombardato la città di Zawia in quello che appare un vero e proprio sterminio di massa, l’est del paese non è più sotto il suo controllo e anche nelle file dei suoi partigiani di ora in ora aumentano le diserzioni. Gheddafi resterà solo e isolato, è solo questione di qualche giorno.
La comunità europea lo ha abbandonato (anche Berlusconi, che si è distanziato dall’ingombrante “amico” definendolo un pazzo) e promette sanzioni esemplari.
Una parte della sua famiglia cerca rifugio in Libano, paese d’origine della moglie, ma viene respinta alla frontiera. Il nome Gheddafi non apre più nessuna porta.
Per decenni Gheddafi si è appoggiato alle rivalità tribali e politiche per mantenere saldo il suo potere ma il sistema che ha messo in piedi era debole ed ora sta crollando mentre la rivolta avanza. Il ministro dell’Interno Abdelfatah Younes ha chiesto ai soldati di schierarsi dalla parte del popolo.
Fra i militari sono una decina i generali e i colonnelli che si sono alleati con i manifestanti. La marcia finale dei rivoltosi sarà su Tripoli e l’obiettivo è Gheddafi, lui e i suoi figli, vivi o morti.