Uccidere un assassino è un assassinio? E’ vendetta, non legge.

Saddam Hussein è stato impiccato; si dice condannato dagli iracheni, ma non ci crede nessuno. Le mani del boia erano irachene ma il cappio era a stelle e strisce.
Stesso discorso per Muammar Gheddafi. Entrambi dovevano beccarsi l’ergastolo, invecchiare in carcere per perdere quella spocchia che ha contraddistinto ampi periodi del loro potere. Con l’esecuzione gli è stata regalata una dignità che non meritavano, una grandezza made in USA.
Bisognerebbe ricordarsi della guerra con l’Iran finanziata dagli Stati Uniti, dei buoni alleati laici contro il fondamentalismo sciita o sunnita fino a quando non hanno deciso di rimettersi in proprio; affronto intollerabile per le democrazie occidentali.

Se i due rais sono stati dei criminali allora lo sono anche alcuni rispettabili capi di Stato che ogni tanto parlano al palazzo di vetro.
Nel Darfur sono morte centinaia di migliaia di persone e nessuno ha mosso un dito. In Cecenia non sono rimasti in piedi neppure i palazzi; silenzio perfetto! E’ l’ipocrisia della condanna a morte giusta, occidentale e petrolifera.
Saddam è stato un criminale? Ha sterminato i curdi con il gas? Ucciso i suoi oppositori? Sì, certo. Ma quando sarà finita la guerra in Iraq si potrà fare una contabilità dei morti. E saranno molti, molti di più di quelli attribuiti al suo regime.
Qualcuno sarà appeso a una corda per i quaranta morti al giorno che non fanno più notizia? Sarà condannato a pagare una multa, un’ammenda, dovrà chiedere scusa? Saddam ha pagato, con dignità, il suo conto.
La carneficina ignorata delle guerre africane, i colpi di stato sudamericani, le invasioni di Grenada e Panama con interi quartieri popolari rasi al suolo e il camposanto afgano non li pagherà mai nessuno.

Carlo Curti, Lugano