Diversi ex impiegati del settore Private banking del Credit Suisse denunciano le conseguenze della consegna da parte della banca dei loro nomi alle autorità fiscali americane.

Non accettano che i loro nomi siano stati inclusi nei dati e nei documenti che la banca, come altri dieci istituti di credito, ha trasmesso alle autorità americane in primavera, nella speranza di una soluzione extra-giudiziaria del conflitto fiscale con gli Stati Uniti.

Coperto dall’anonimato, uno di questi ex impiegati ha confidato al quotidiano romando La Tribune de Geneve di aver visto le prove della consegna del suo nome, malgrado non avesse mai avuto relazioni dirette con i clienti americani del Credit Suisse.
Una cellula speciale interna alla banca gli ha permesso di consultare i dati che lo riguardavano. Il suo nome faceva parte di una lista compilata da un organo esterno.
“Da quando i miei dati sono stati trasmessi – prosegue – non vado più negli Stati Uniti, nemmeno per vacanze. La mia paura è di essere arrestato.”
Poi aggiunge che ritiene rischioso viaggiare anche in paesi che hanno relazioni strette con gli Stati Uniti.
A questo si aggiungono le potenziali conseguenze lungo il suo percorso professionale : “Nella mia situazione è ad esempio inimmaginabile che mi presenti per un impiego in un istituto finanziario americano.”

Pressato dagli Stati Uniti, che minacciavano di avviare un’azione giudiziaria contro le banche svizzere, il Consiglio federale ha autorizzato, il 4 aprile scorso, cinque banche svizzere a consegnare alle autorità americane liste di dati e scambi di corrispondenza inerenti le attività di Private banking.
In totale sono undici le banche che hanno inviato informazioni. Sono oltre 10mila gli impiegati i cui dati sono stati consegnati all’Internal Revenue Service di Washington, confermano diverse fonti bancarie.

(Fonte : La Tribune de Geneve)