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Tanto tempo fa venne fuori la notizia, falsa, secondo cui Al Pacino era omosessuale. Si scoprì subito che era una bufala. Qualcuno l’aveva letta su internet e l’aveva diffusa, dandola per buona.

Si dice: «L’ho letta su internet». Come una volta si diceva: «L’hanno detto in televisione». Solo che in televisione si dicono, generalmente, cose che hanno avuto almeno uno straccio di filtro. Mentre su internet, anche allora, girava di tutto.
Internet è come un bar. Ognuno dice con sicurezza la sua. La certezza e la credibilità sono un optional. Adesso che con i blog, con Facebook e con Twitter sono diventati tutti giornalisti, la situazione è degenerata.
Prima di scoprire che la notizia della tigre scappata dallo zoo a Londra durante gli scontri della scorsa estate era una scemata, sono passate ore. Il meccanismo virale della rete è inarrestabile e ci vuole una forte notizia di senso contrario per arrestarlo.
Così è successo anche per l’ischemia di Antonio Di Pietro, partita dall’Unione Sarda e piombata come una valanga su Twitter. In questo caso è stato facile, con la smentita di Di Pietro, dare un colpo di freno al virus comunicativo.
A Taranto, settimane fa, è successo di peggio. La notizia che la squadra di calcio locale, grazie a un ricorso, era stata ammessa in serie B, twittata e retwittata, ha fatto impazzire la città, caroselli, strombazzi, urla, bagni nelle fontane per tutta la notte.
La mattina, quando anche Twitter è rinsavito, l’amara sorpresa. Morale: ricordate, Twitter e Facebook sono come un bar dove, ovviamente, si fanno chiacchiere da bar.

Claudio Sabelli Fioretti
– pubblicato sul settimanale del Corriere della Sera “Io Donna” del 4 agosto 2012 – per gentile concessione dell’autore