Thomas Hoving, ex direttore del Metropolitan Museum of Art, stima che il 60% di tutte le opere offertegli durante i suoi 16 anni di ruolo “non erano quel che sembravano”.
Il New York Times ha ipotizzato che il 40% di tutte le opere più importanti messe in vendita siano dei falsi
.

Nel 1940 il Newsweek asseriva che “delle 2’500 opere effettivamente dipinte da Jean-Baptiste Corot, soltanto nelle collezioni americane se ne trovano 7’800”.
La falsificazione è l’ombra stessa dell’arte, il vizio senza cui la virtù è impossibile.

Per un artista con un po’ di talento e nessun scrupolo, la falsificazione non offre solo ricchezza ma anche una celebrità clandestina. Sapere che un proprio dipinto è appeso al Louvre, al Met, alla Tate – anche se nessun altro potrà mai saperlo – è la migliore delle vendette.

Una volta approdato in una pinacoteca, ci sono poche possibilità che un falsario venga smascherato : come fece notare Theodore Rousseau “dovremmo tutti renderci conto che possiamo parlare solo dei cattivi falsari, quelli che sono stati scoperti; i bravi sono ancora appesi alle pareti”.

“Tutti gli esperti lavorano prevalentemente sui bluff. Non vogliono far cadere i propri altarini; non vogliono farci sapere quanto spesso e quanta facilità sono stati gabbati – afferma Cliff Irving, biografo di Elmyr de Hory, il falsario che, per dirla con Robert Anton Wilson “fu condannato per aver commesso capolavori”.

Ci sono un mucchio di falsari in circolazione. I mercanti d’arte lo sanno ma sono degli ipocriti e non dicono nulla ai compratori; se un mercante sospetta di aver comprato un falso lo lascia stagionare per un anno o due e poi lo mette all’asta.

La maggior parte dei falsi è venduta da una persona a un’altra e ogni volta che passa di mano acquista genuinità: più spesso è venduta, più a lungo rimane appesa alla parete di una galleria, più diventa autentica.

(da : I was Vermeer. The rise and fall of the 20th century’s greatest forger, di Frank Wynne)