La tragedia siriana è entrata nel suo terzo anno e sembra dover proseguire ancora per anni. Con quasi 100’000 morti ufficiali, si situa fra i conflitti più sanguinari della regione medio orientale.

Nessun paese sembra voler intervenire per fermare questa guerra. Traumatizzati dalla catastrofica esperienza in Iraq, gli Stati Uniti stanno alla larga e anzi, si disimpegnano vieppiù dal Medio Oriente. Dicono di non disporre dell’arsenale militare sufficiente per un intervento armato e inoltre sanno che la loro influenza politico-diplomatica non è più quella di una volta.
Il presidente russo Vladimir Putin si prende apertamente gioco di Washington. Nel momento in cui pretende di voler favorire una soluzione negoziata, vende al governo di Damasco armi sofisticate, missili terra-aria che potrebbero rendere impossibile l’insediamento di una zona di protezione aerea sopra il territorio siriano.
Dall’inizio del conflitto, nel marzo 2011, il governo di Mosca ha sempre sostenuto la Siria militarmente. La Russia non si trova dunque in una posizione di osservatore o di mediatore : è attivamente coinvolta nel conflitto.

La Cina mostra indifferenza e l’Europa conta ben poco. I paesi emergenti del Sud sono largamente a fianco del regime siriano. Paesi come l’Africa del Sud, l’Indonesia, il Brasile, ribelli all’idea di ingerenza negli affari di uno Stato sovrano, si oppongono a un cambio di regime siriano ottenuto con la forza delle armi.
Dalla conferenza internazionale sulla Siria che americani e russi vogliono organizzare a Ginevra in giugno c’è da aspettarsi ben poco. Si vedrà una messa in scena ben precisa : la maschera dell’impotenza per gli Stati Uniti, quella dell’ipocrisia per la Russia e quella dell’inesistenza per l’Europa.

Un siriano durante una manifestazione anti-israeliana a Teheran (Iran), il 6 maggio.
Un siriano durante una manifestazione anti-israeliana a Teheran (Iran), il 6 maggio.

La guerra prende i toni voluti dal presidente siriano Bachar al Assad : un confronto di confessioni religiose, nazionale e regionale. I suoi amici iraniani hanno riorganizzato il suo esercito; il Hezbollah libanese ha mandato migliaia di combattenti, mentre i nuovi partner al potere in Iraq facilitano l’approvvigionamento di armi. Questo è il campo sciita.
Dall’altra parte sta la maggioranza sunnita. Il loro portabandiera, l’Arabia Saudita, e il Qatar appoggiano i ribelli, un’armata disorganizzata e divisa, senza risorse di fronte a un avversario che ha il monopolio delle armi pesanti, aerei, blindati e artiglieria.

In una simile asimmetria non vi è da meravigliarsi che la ribellione abbia lasciato infiltrare gruppi djihadisti radicali. Ultimamente l’attenzione mediatica si è concentrata su di loro e sulle loro numerose azioni e questo ha permesso di occultare i massacri perpetrati a inizio maggio dalle forze del regime di Damasco nella località di Baniyas.
In questo modo prosegue la demolizione di un paese dalla storia millenaria, così come prosegue un’immensa tragedia umanitaria. In pratica nell’indifferenza generale.

(Fonte : Le Monde.fr)