Una società che si astiene è una società fallita.
E lo Stato? E la psichiatria
pubblica?


INTERROGAZIONE PARLAMENTARE

È con grande imbarazzo, che affronto questo tema, che mi vede da sempre totalmente e fermamente d’accordo con quanto recentemente riportato e denunciato sui media dal collega Prof. Dr. Graziano Martignoni – psichiatra, psicoanalista, docente universitario anche alla SUPSI, ma non solo – il quale, denunciava le modalità di trattamento riservate a persone in detenzione, che presentavano problematiche psichiatriche. Questione che era stata denunciata in tempi recentissimi a chiare lettere anche in Gran Consiglio, da un membro della stessa commissione di vigilanza parlamentare sulle carceri. Di sponda a questo spinoso problema, si aggiunge anche quello della psichiatria pubblica, che non sembra aver colto e la sua missione e il senso della sua ragion d’essere.

Le condizioni dei nostri detenuti, infatti, devono preoccuparci e molto. Da quanto emerso, sembrerebbe vi siano pazienti trattenuti in carcere oltre la pena e, forse, nemmeno con una pena vera e propria da scontare, spesso persino in stato di prolungato isolamento. Vi è dell’incredibile in tutto ciò. Facile in simili situazioni ravvisare il gioco a rimpiattino del passaggio delle responsabilità agli “altri” in generale. Ma di chi è la responsabilità etica? È da attribuire alla mancanza di strutture adeguate (con la diretta responsabilità della politica), agli organi di polizia e del carcere, oppure ancora all’incapacità dei sanitari medico-psichiatrici e delle loro strutture di accogliere e prendersi a carico situazione così estreme?

Lo “scarica-barile”, lo abbiamo visto più volte, ha avuto esiti spesso drammatici, anche perché si rischia di lasciare nell’abbandono non solo quei disperati che nessuno vuole (a volte perché violenti, o agitati, impulsivi, o poco disponibili ad una rapida rieducazione, oppure ancora poco reattivi ai farmaci psicotropi, ecc.), ma anche gli stessi agenti di custodia chiamati a svolgere quotidianamente un lavoro non propriamente loro, che però svolgono il loro delicato compito con il massimo dell’umanità possibile.

È quasi scontato ricordare come una comunità si giudichi non solo e non tanto dai suoi successi, dalle sue realizzazioni, dai suoi luoghi di eccellenza, ma, soprattutto, da come essa tratta i suoi fratelli più deboli e vulnerabili, gli sconfitti, gli esclusi e – fra questi – i malati e i folli, anche quando questi si presentano a noi come casi difficili, sociali, complicati dal corollario della sanzione penale che spesso si affianca al loro iter psicopatologico e clinico!

Come ricordato sopra, la presa di coscienza di questo stato di cose da parte del deputato, che ha riferito quanto ha potuto constatare de visu, è stata drammatica. Non bastano, a questo punto, le rassicurazioni in “politichese” sui progetti futuri per un miglioramento dell’accoglienza dei detenuti con gravi turbe psichiche, non basta la proverbiale prassi dovuta e d’ufficio dell’iter parlamentare; bisogna agire subito, perché ogni giorno in più in quelle condizioni è uno scandalo e una grave lesione dei diritti fondamentali e della dignità dell’uomo e delle Istituzioni democratiche stesse. E che il nostro “bel paese” ne sia palcoscenico è doppiamente scandaloso! E lo scandalo e ancora più pesante considerando la latitanza delle psichiatria pubblica.

Chi si deve occupare di queste persone dalla mente disastrata e sconvolta, è il dispositivo di accoglienza sanitario psichiatrico e psicosociale del Cantone! E ciò al fine di scongiurare quanto già succede altrove. Ad esempio, in Francia, si denuncia oramai coralmente la progressiva “carcerizzazione” dei malati psichici più gravi.

Capiamo che la Clinica Psichiatrica Cantonale aperta tema, con la riapertura di eventuali reparti chiusi e di sicurezza (in cui però il potere decisionale di fronte alla malattia deve tornare nelle mani degli operatori psichiatrici e non, come oggi avviene, nelle mani degli organi di sicurezza, perché la cura di una malattia deve sempre avere la priorità sulla pena detentiva), di rotolare su un sentiero sdrucciolevole. Un reparto chiuso, infatti, suscita ancora vecchi e mai sopiti fantasmi, che l’epoca che ha fatto seguito alle lotte anti-istituzionali pensava di aver cancellato. Tuttavia, credo che la psichiatria abbia oggi sufficienti anticorpi contro questo sentiero regressivo e sia pertanto in grado di affrontare anche queste nuove sfide. Sfide difficili ma incontornabili! Quando la clinica psichiatrica rifiuta questi pazienti aggressivi, esplosivi, violenti e talvolta persino pericolosi, come se non gli appartenessero, come se non appartenessero al mondo della follia, condannandoli al carcere, essa produce un vulnus grave alla sua storia, alla sua missione, all’etica della cura a cui continua ad essere chiamata: perché una psichiatria che si astiene è una psichiatria fallita.

Detto ciò sono a chiedere, con questa mozione parlamentare, che il CdS si attivi urgentemente nella direzione seguente:

1. Che sia istituito un gruppo di lavoro incaricato di studiare, assieme alla commissione di vigilanza parlamentare sulle carceri, una soluzione rapida e rispettosa dei diritti dei pazienti che stanno scontando una pena detentiva.
2. Che in questo gruppo di lavoro, siano chiamati a farne parte sia uno psichiatra con esperienza e conoscenza della materia, sia uno specialista in diritto dei pazienti nonché cognito della legge cantonale sull’assistenza socio-psichiatrica (LASP).
3. Che la Commissione speciale sanitaria del Gran Consiglio, sia a sua volta coinvolta attraverso la partecipazione al Gruppo di lavoro in oggetto di un suo membro che potrà essere ev. segnalato dal Gruppo di lavoro ma che dovrà essere poi confermato dalla Commissione sanitaria stessa.

Ringrazio il Lodevole C.d.S. per l’attenzione prestatami e saluto con la massima cordialità e stima.

Dr. med. Orlando Del Don, granconsigliere UDC