Stephen Cohen insegna economia all’università di Berkeley. Specialista di economia urbana e del territorio, dopo il fallimento della città di Detroit risponde ad alcune domande sul portale d’informazione Liberation.fr.
Quale è l’importanza di questo fallimento su scala americana?
E’ il peggior fallimento di una collettività locale mai pronunciato negli Stati Uniti dagli anni della Seconda guerra mondiale. L’indebitamento della città è di 20 miliardi di dollari. Una somma considerevole, ma non si tratta di una sorpresa.
Una volta Detroit era la quarta città del paese. Dal 1950 ha perso la metà dei suoi abitanti. Oggi ne conta 700’000, contro 1.8 milioni di oltre cinquant’anni fa. Sono rimasti i più poveri, con una popolazione di colore pari al 80%.
Il settore immobiliare è crollato, così come i prelievi fiscali. Il debito è entrato in una spirale tale che oggi la città viene messa sotto la protezione del Chapter 9.
Era inevitabile, la città non aveva nemmeno i mezzi per mantenere la rete elettrica, con la metà dei semafori fuori uso e di notte molti quartieri completamente al buio. Dal 2008 è stata chiusa la metà dei parchi cittadini.
Quali conseguenze dopo questo fallimento?
L’indebitamento eccessivo della municipalità ha creato due problemi. Da un lato la città non poteva più far fronte al pagamento degli interessi dei prestiti sulle obbligazioni municipali che aveva emesso su un mercato del debito locale assolutamente colossale.
E’ un sistema interessante : per permettere alle collettività di attirare gli investitori, lo Stato federale non preleva alcuna tassa sugli interessi. Dall’altro lato, Detroit è stata soffocata dal pagamento delle pensioni e dei servizi ai suoi funzionari.
Adesso la questione è sapere chi pagherà. Saranno gli investitori che dovranno assumersi le perdite attraverso la diminuzione parziale del debito e la sua ristrutturazione?
Oppure saranno i pensionati e i funzionari della municipalità che pagheranno il tributo più pesante, accettando pensioni riviste al ribasso e tagli di salari?
In altre parole, il fallimento di Detroit verrà assorbito dai mercati oppure dai funzionari della città? Si può pensare che entrambi passeranno alla cassa, ma la questione è sapere in quale proporzione.
Nel caso di una ristrutturazione del debito, c’è il rischio di destabilizzare l’insieme del mercato delle obbligazioni municipali.
Cosa faranno i detentori di crediti in altre municipalità che non vanno così bene? Venderanno? D’altra parte è impensabile che i mercati non parteciperanno al salvataggio di Detroit. Una possibilità estrema è che lo Stato del Michigan si assuma il debito; legalmente è possibile ma non credo che questo avvenga.
Che dire della dimensione razziale e politica di questo fallimento?
Lo Stato del Michigan è repubblicano e soprattutto bianco, mentre Detroit è nera e democratica. Da questo punto di vista non mancano i potenziali conflitti fra le due parti.
Ad esempio, la manutenzione del Detroit Institute of Art competeva alla municipalità “nera e democratica” mentre chi andava a vedere le opere d’arte erano soprattutto i “bianchi e repubblicani” che abitano fuori dalla città. Dunque chi pagherà?
Perchè Detroit è in fallimento allorchè il settore industriale stava ripartendo, dopo una profonda crisi?
Oggi in città rimangono due o tre fabbriche di automobili. Le altre sono situate nella regione di Detroit, che rappresenta un bacino di attività di 5 milioni di abitanti e che si trova in condizioni migliori della città.
Siccome questa regione ha visto una sorta di rinascita, soprattutto con il ritorno di General Motors, forse la città potrà ripartire da questo settore, ma a condizione di mettere ordine nelle sue finanze. Riordinamento che è già iniziato, da quando un gestore della crisi è stato nominato per sostituire il sindaco e il consiglio municipale.
Detroit potrà rimettersi in piedi?
Si legge molto sul fatto che diversi giovani investono a Detroit attirati da un settore immobiliare vicino al costo zero, che iniziano a creare imprese, nuove attività, ecc.
Una nuova opportunità dopo una crisi profonda. Detroit non è condannata e questo fallimento deve essere visto come un nuovo punto di partenza.”