Galeazzi. Ho fatto una scommessa con un gruppo di amici (al bar, anzi al ristorante, oggi) tra i quali il noto Tak Tarchini. Se l’iniziativa dovesse passare con almeno il 67% di Sì farò il bagno nel Lago Ceresio. Se poi dovesse passare a livello svizzero, farò il giro della città in costume da bagno, rigorosamente “rossocrociato” con la bicicletta “rosa” di Sara Giovanna Beretta Piccoli e i due cani (Buff e Napoleone) nel cestello.
Non ci resta che attendere. NOTA. Il 67% (più esattamente il 66,666666…%) corrisponde a un risultato di 2 a 1.
Negli accordi bilaterali che la Svizzera firmò con l’Unione Europea si nascondeva un “frutto avvelenato” che oggi, diversi anni dopo l’entrata in vigore nel 2002, mostra i suoi effetti dannosi: la libera circolazione delle persone, tema sul quale il popolo svizzero sarà chiamato ad esprimersi il prossimo 9 febbraio.
Quando andammo votare sugli accordi bilaterali, il Consiglio Federale, la maggior parte dei partiti, le categorie di settore, le associazioni economiche e i sindacati spesero energie e soldi nel convincere la popolazione svizzera che, senza questi accordi, non avremmo potuto sopravvivere alla crescente pressione europea, visto che avevamo già bocciato l’entrata nello Spazio Economico Europeo. A quei tempi bisogna pur dire che pochi, anzi pochissimi, videro più in là del loro naso e misero in guardia l’intero Paese su una possibile invasione di immigrati dall’intero continente, in cerca non solo di una residenza ma anche di un lavoro.
Ovviamente le autorità di quel tempo, per far passare il messaggio alla popolazione, presentarono dati di affluenza, sottostimati, ca. 8’000 persone per anno (mentre oggi in realtà sono ca. 80’000) e mentirono sulle sorti dell’occupazione in Svizzera. Mai, si leggeva sui giornali, i cittadini indigeni e residenti già da tempo, avrebbero avuto problemi nel trovare un posto di lavoro in casa propria. L’economia necessitava si di nuova manodopera, vero, ma prima si sarebbe data preferenza a cittadini e residenti, senza più il famoso contingentamento. Queste erano le frasi in bocca alla maggior parte dei politici fautori e sostenitori di questi accordi sciagurati.
Sciagurati sì, perché i risultati nefasti li vediamo tutti i giorni, li leggiamo sui giornali, sui social network e li sentiamo nei bar, nelle strade o negli Uffici Regionali del Lavoro (URL), con innumerevoli storie di lavoratori allontanati dal posto di lavoro per fare spazio a manodopera estera (frontaliera), pagata la metà o comunque meno del reddito minimo di sopravvivenza in Svizzera. Questo odioso fenomeno di dumping salariale ha ottenuto due effetti in Svizzera: aumentare i disoccupati ma anche i lavoratori poveri (working poor), disposti a lavorare per un salario ridotto pur di non perdere il posto; al contrario, lo stesso salario, se speso e utilizzato fuori dai nostri confini nazionali, equivale a una sorta di “manna”, se paragonato al costo della vita locale (molto più basso che in Svizzera) e agli stipendi medi vigenti (attorno ai 1300 euro netti al mese in Italia, ca. 1’600.– franchi svizzeri).
Noi ticinesi, come altri Cantoni di confine, viviamo in una sorta di incubo, iniziato con l’abrogazione finale (2007) della famosa “clausola di contingentamento”, che ci assicurava una“strada giustamente preferenziale” nel nostro mercato del lavoro, a parità di requisiti. Questa protezione permetteva, a contorno, una sicurezza salariale-sociale oggi venuta a mancare, poiché il mondo dell’occupazione, con la libera circolazione, è divenuta una giungla assetata di profitto, dove i datori di lavoro (anche stranieri) operanti sul nostro territorio usano e abusano della leva dei salari bassi per aumentare l’utile aziendale, nascondendosi dietro la specializzazione che solo all’estero si possa trovare.
Mi sorge una domanda: ma noi svizzeri siamo davvero tutti incapaci e lazzaroni? Le nostre università e scuole professionali (di qualsiasi settore formativo) sono da ritenersi davvero non adeguate per una formazione qualificata per le esigenze d’impiego nei vari settori del tessuto economico di questo Paese? Stando a molti politici e alcuni imprenditori nostran-ticinesi, pare di si.
Per concludere, in vista dell’importantissima votazione del 9 febbraio 2014, qua e là sui giornali, anche d’Oltralpe, si leggono prese di posizione a dir poco scandalose, come la grande campagna contro l’iniziativa UDC messa in campo dal Consiglio Federale o parte di esso. Ovviamente se ne sono guardati bene di scendere in Ticino ad affrontare l’argomento. Questo evidenzia la paura di affrontare un Cantone che più di tutti, con Ginevra, soffre la libera circolazione delle persone. D’altro canto sono interessanti le defezioni di coloro che pubblicamente hanno comunicato che voteranno SI, appartenenti a partiti filoeuropeisti più sfegatati come il Partito socialista.
Voterò SI perché dobbiamo frenare questo “treno impazzito carico di menzogne e problemi” e questa è l’ultima fermata a noi rimasta per rallentarlo. Sarà troppo tardi quando in pochi anni arriveremo, in Ticino, ad avere
80’000 /90’000 frontalieri corrispondenti a quasi la metà della forza lavoro attiva di questo Cantone.
Tiziano Galeazzi, presidente del distretto UDC Lugano