Ai tempi, se volevi incontrare un buontempone, detto anche perditempo, dovevi cercarlo all’osteria.

Adesso le osterie godono di scarsa considerazione e va di moda il bar. Con l’evolvere delle conquiste sociali irrinunciabili la clientela è cambiata. Sull’onda di traguardi più avanzati, di convergenze parallele, di gender mainstreaming e di una parità dei sessi finalmente concretizzata il 98% della clientela mattutina e forse il 70% di quella pomeridiana è costituita da signore che soddisfano così un innato bisogno di socializzare. Nei nostri comuni i bar hanno sostituito i lavatoi  e i saloni dei barbitonsori dei buon tempi andati nel ruolo di siti delegati alla socialità.

D’altra parte migliaia di canali televisivi, obbligati dalla reciproca concorrenza a trasmettere giorno e notte, non sanno più che pesci pigliare per intrattenere e trattenere la clientela nelle cosiddette “ore morte”.

Con un modesto pezzetto di lamiera a forma di parabola, munito di un braccio che porta all’estremità un piccolo aggeggio rivolto alla parabola stessa, le tecnologie satellitari moderne ti mettono facilmente a disposizione oltre 1000 canali di tutto il mondo. Con lo zapping protratto e compulsivo, oramai abituale a molti di noi, ho potuto constatare che le due ore che precedono l’orario abituale dei pasti sono oramai occupate quasi esclusivamente da trasmissioni che insegnano l’arte della buona cucina ad attentissime signore presenti in sala di trasmissione e, suppongo, anche davanti allo schermo televisivo, almeno per quelle che non sono al lavoro (numerose) o al bar (ancor più, mi sembra, numerose).antonella-clerici-in-cucina-a-la-prova-del-cuoco

Le ricette prospettate sono spesso così elaborate da indurre alla rinuncia pregiudiziale a tanto lavoro per accontentarsi di due wienerli, senape e patate lesse. Ricette fatte quasi più per “épater le bourgeois” che per veramente educare ad un minimo di scienza gastronomica. Ma lasciamo perdere, ed occupiamoci  delle trasmissioni cucinarie in lingua italiana. Sono, nessuna esclusa, caratterizzate da una distorsione del corretto uso della lingua italiana da parte di grandi ed esperti maestri di alto lignaggio gastronomico quanto di scarse conoscenze in fatto di declinazione di verbi. Un diluvio di “andare”: il tegame che andrò a mettere nel forno, la bistecca che andrò a servire sul piatto, il tavolo di lavoro che adesso andrò subito a ripulire con lo strofinaccio per non andare a lasciarlo sporco, l’arrosto che prima di andare ad infornarlo sarò andato ad ungere d’olio (naturalmente, va da sé, extra-vergine e d’oliva, gli oli di semi li lasciamo ai paesi del nord), e così via. Un diluvio, un andirivieni, dicevo, di “andamenti”, apocalittico, universale e frastornante, purtroppo (e ahimè) oramai entrato anche nel linguaggio televisivo comune, ad opera di presentatori tanto spigliati quanto ignoranti. Il frastuono prodotto alle mie povere orecchie da questa orgia di “andare” è fastidioso e irritante come le mosche quando si sonnecchia. Ma non perdo la speranza. Aspetto impaziente il giorno in cui mi toccherà sentire la conduttrice (i conduttori di queste trasmissioni sono sempre donne, ed è giusto che sia così, per la parità dei sessi) che in chiusura di programma si avvierà (andrà ad avviarsi) all’uscita con un semplice e candido: “Adesso andrò ad andare a casa”.

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Di “andare”  abbonda anche la ballata, ai miei tempi scolastici conosciutissima, di Giovanni Venosta Visconti, 1831-1906, libertario valtellinese esule a Bellinzona per sfuggire agli sbirri austriaci: “La partenza del crociato”. Il crociato era Anselmo, che “andò” in guerra e mise l’elmo. Una ballata scherzosa scritta per uno scolaro che non era riuscito a svolgere il compito scolastico estivo: 17 quartine con versi novenari (9 sillabe), spiritosi e divertenti, proprio il contrario degli “andare” dei cuochi televisivi, cacofonici ed irritanti. Nella ballata gli “andare” sono esattamente 9, con una quartina che ricopio dedicandola ai suddetti cuochi:

Da quel dì non fe’ che andare,
andar sempre, andare, andar …
quando a pie’ d’un casolare
vide un lago ed era il mar!

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Pietro Aretino, 1492-1556, fu poeta del 16esimo secolo, vissuto all’ombra di potentati cardinalizi. E`più ricordato per uno scherzoso epitaffio a lui dedicato che per le sue opere, grevi per licenziosità e volgarità sguaiata.

“Qui giace l’Aretin, poeta tosco,
di tutti disse mal, fuor che di Cristo,
scusandosi col dir: non lo conosco”.

E completiamolo, l’epitaffio, nientepopodimeno che con Dante, Par. XXIX, con tanto di rima:

“Non per aver a sé di bene acquisto,
ch’esser non può, ma perché suo splendore
potesse risplendendo dir subsisto
si aperse in nuovi amor l’eterno amore”.

Gianfranco Soldati