Amanda 24 smNon passa ormai giorno senza che vi siano furti negli appartamenti, nelle case o nelle aziende, oppure rapine a mano armata a stazioni di servizio, negozi o uffici di cambio. Bande di malviventi – spesso individui dell’est basati in Lombardia o in Piemonte ­setacciano interi quartieri e paesini. Alcuni vivono nei boschi per intere settimane. A volte si tratta di mino­renni che dopo aver varcato indistur­bati la frontiera rubano una macchina – creando quindi seri pericoli per au­tomobilisti e pedoni – e si spostano da una località all’altra in cerca di obiet­tivi da razziare.

Poi ci sono le rapine, e qui siamo confrontati sia con delin­quenti di piccolo cabotaggio sia con bande criminali molto pericolose, ar­mate non solo di pistole ma anche di fucili a pompa, armi che questi banditi sono pronti ad usare, com’è accaduto recentemente a Brusino. O ancora pensiamo alla rapina avvenuta all’ini­zio di questa settimana di Chiasso, dove in pieno giorno e nel centro della cittadina sul confine quattro individui hanno addirittura aggredito la gerente e si sono poi dati alla fuga.

Grazie agli accordi internazionali le frontiere sono oggi un vero e proprio colabrodo

Un’importante causa della perdita di sicurezza nel nostro Cantone è sicura­mente da ricondurre alla libera circo­lazione delle persone, agli accordi di Schengen, di Dublino e alle conse­guenze derivate dalla loro applica­zione. In primis, l’apertura indis­criminata delle frontiere e lo smantel­lamento dei controlli doganali, senza nel contempo aver individuato e adot­tato a livello federale misure e stru­menti efficaci per continuare a garantire la tutela del nostro territorio nonostante la sottoscrizione degli sciagurati accordi. Con l’estensione degli accordi bilaterali agli Stati del­l’est Europa l’insicurezza inoltre cre­sce, poiché sono state spalancate le frontiere a una nuova pericolosa cri­minalità organizzata proveniente da quei Paesi.

La sicurezza ha un costo: importante è la collaborazione tra tutti gli attori coinvolti

Gli importanti costi della sicurezza a carico del nostro Cantone, necessari e – ripeto – in gran parte connessi al fallimentare bilancio del rapporto costi-benefici dei citati accordi inter­nazionali, devono comunque mante­nersi proporzionatati rispetto all’obiettivo da raggiungere: garan­tire la sicurezza ai nostri cittadini, utilizzando in modo intelligente le ri­sorse, massimizzando l’efficienza, tagliando i costi inutili, evitando doppioni, concentrando le attenzioni e le risorse laddove è necessario. Il compito non è facile, ma a questo proposito vanno salutati positiva­mente i provvedimenti presi dal Di­partimento delle istituzioni e lo sforzo fatto per migliorare l’effi­cienza della sicurezza, pur cercando di contenere i costi, dato che comun­que i conti del Cantone sono quelli che sono.

Ma la Polizia cantonale non è l’unico attore chiamato ad operare a tutela della sicurezza nel nostro Can­tone. In questo senso l’auspicio è quello di raggiungere una collabora­zione efficiente, performante, finan­ziariamente ottimizzata in particolare con le Guardie di confine – le senti­nelle delle nostre frontiere – e con le polizie comunali – che sono le an­tenne sul territorio -. Per quanto ri­guarda le Guardie di confine vanno apprezzati tutti gli sforzi fatti dal Cantone, in particolare dal Diparti­mento delle istituzioni, che mantiene contatti stretti e frequenti con l’auto­rità federale e che continua a battere il chiodo a Berna, con il non facile compito di far comprendere le neces­sità del Ticino. Siamo senza dubbio una regione che più di altre risente sul piano della sicurezza degli effetti nefasti degli accordi internazionali, in quanto confiniamo con l’Italia, Paese che, oltre ad avere propri pro­blemi interni, funge anche da base di appoggio per pericolose organizza­zioni criminali dell’est Europa.

Il grande lavoro della Deputazione ticinese e del Dipartimento delle Istituzioni

Timidamente, da Berna arriva qualche segnale: è infatti di pochi giorni fa l’accoglimento da parte del Consiglio degli Stati (che si allinea così alla posizione del Consiglio na­zionale) della mozione di Roberta Pantani, che chie­deva la chiusura notturna dei valichi minori. Una buona notizia dunque per il nostro Cantone, che va ad aggiungersi a quella, risalente a di­versi mesi fa, relativa all’accogli­mento da parte del Parlamento federale della mozione del deputato Marco Romano, che chiedeva di au­mentare le guardie di confine. Non si può quindi non guardare positiva­mente al lavoro svolto dalla nostra Deputazione, ma anche dal Consiglio di Stato, sul fronte della sicurezza, con l’obiettivo comune di migliorare la situazione del nostro Cantone negli ambiti di competenza della Confede­razione.

Facciamo sentire forte e chiaro la nostra voce a Berna

Ma l’impressione è che nonostante gli sforzi profusi da (almeno parte) della classe politica del nostro Can­tone, la Berna federale fatichi a rece­pire seriamente il problema di sicu­rezza che affligge il Ticino. E il lungo silenzio di Berna diventa an­cora più grave se si pensa alle nume­rose iniziative – concre­tizzatesi in lettere, peti­zioni, manifestazioni, pre­se di posizione o presidi doganali – intraprese negli ultimi anni da forze politi­che, gruppi di cittadini o singole persone, soprat­tutto nel Mendrisiotto ma anche in altre zone sensi­bili (come ad esempio le Centovalli), volte ad attirare l’atten­zione della Confederazione sul tema della sicurezza.

In questo senso mi permetto di pubblicizzare la recente petizione lanciata dal giovane Ales­sio Allio di Mendrisio e sostenuta dal Movimento dei giovani leghisti, che chiede di reintrodurre il presidio per­manente dei valichi doganali del Mendrisiotto. Una petizione che me­rita di essere sottoscritta, per far sen­tire ancora una volta la nostra inascoltata voce all’autorità federale. La speranza è l’ultima a morire, ma forse, di fronte a migliaia di firme, qualcuno a Berna si renderà conto che il problema deve essere affron­tato con serietà.

Amanda Rückert, deputata al Gran Consiglio