Appena pubblicato lo studio dell’IRE sulla “situazione del mercato del lavoro ticinese negli anni successivi all’introduzione dell’Accordo sulla Libera Circolazione delle Persone (ALCP)”, sono scoppiate violente polemiche. Non è nostra intenzione aggiungere “peperoncino e tabasco piccanti” alle discussioni. Lo scopo di questa Nota è semplicemente di formulare alcune domande o sollevare alcune questioni alle quali ci piacerebbe ottenere maggiori chiarimenti o risposte più convincenti. Ricordiamo che l’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALCP) è entrato in vigore il 1° giugno 2002.

I

Il primo punto della nostra attenzione è il tasso di disoccupazione. Il Grafico 1 mostra che nell’anno 2014 il tasso di disoccupazione in Ticino e nella Regione del Lago Lemano, le due regioni svizzere limitrofe a nazioni con livelli salariali chiaramente più bassi di quelli svizzeri, supera la media svizzera di due punti percentuali ossia di circa un 50% .

Si impone la seguente domanda: È stato sempre così? Una ricerca un po’ più approfondita fra le statistiche sulla disoccupazione, elaborate e pubblicate dall’Ufficio Federale di Statistica, ci ha permesso di trovare serie storiche trimestrali del tasso di disoccupazione in Svizzera per regioni e sesso a partire dal 3° trimestre 2001, che perciò iniziano un anno prima dell’entrata in vigore degli ALCP. A partire da queste serie abbiamo confezionato i Grafici 2 e 3. Avremmo chiaramente preferito trovare serie storiche più lunghe. Malgrado ciò, il Grafico 2 suggerisce che prima degli ALCP il tasso di disoccupazione in Ticino era simile a quello di Zurigo. Però nei 3 anni a partire dall’entrata in vigore degli ALCP, il divario fra il tasso di disoccupazione in Ticino e a Zurigo è aumentato di poco più di 2 punti percentuali, stabilizzandosi poi a questo livello. Il Grafico 3 mostra una situazione analoga per la regione del Lago Lemano, dove però il tasso di disoccupazione era mezzo punto percentuale al di sopra di quella a Zurigo già prima dell’entrata in vigore degli ALCP.

Tasso di disoccupazione 2014Divario Ticino-ZurigoDivario Regione Lemano-ZurigoDi fronte a questi ultimi due Grafici, rimaniamo sorpresi dai risultati dello Studio dell’IRE, riassunti a pagina 8 del rispettivo documento: “Secondo le nostre stime, non si riscontra alcuna prova che l’impiego di lavoratori frontalieri abbia aumentato il rischio di disoccupazione dei lavoratori nativi – né in Svizzera né in Ticino.”

II

Il nostro secondo punto d’attenzione è il questionario inviato ai datori di lavoro per cercare di scoprire i “motivi che spingono i datori di lavoro a reclutare lavoratori stranieri (lavoratori frontalieri o immigrati) e sulle modalità del processo di reclutamento” (pagina 8 dello Studio IRE). Personalmente non ho nessun argomento contrario ai sondaggi, anzi, è uno dei tanti metodi per ottenere informazioni. La questione cruciale è però: quali informazioni, informazioni di che genere? In generale sembra che i sondaggi permettono di ottenere informazioni sulle opinioni delle persone, ma più difficilmente sui veri motivi delle persone. E si possono citare numerosi esempi nella letteratura economica; ne menzioneremo due.

Esempio 1: Nell’eccellente testo di economia “University Economics – Elements of Inquiry” (3.a edizione 1974, Wadsworth e Prentice/Hall) – testo che non impiega una sola equazione! – gli autori Armen Alcian e William Allen descrivono, nella sezione “The Cost-Push Illusion” (pagine 95 – 97), un processo inflazionario nel quale tutti i partecipanti hanno l’impressione e dichiarano che il processo inflazionario sia dovuto ad un iniziale aumento dei costi, quando in realtà il processo viene messo in moto da un aumento della domanda di beni.

Esempio 2: Nell’articolo “A Stylized Model of the Devaluation-Inflation Spiral” (IMF Staff Papers, 25 (1978), 76-89) l’economista argentino Carlos A. Rodríguez elabora un semplicissimo modello di una piccola economia aperta che opera in un regime di cambi fissi in cui il governo finanzia un disavanzo fiscale permanente mediante emissione monetaria. Ovviamente, così facendo, la banca centrale perde continuamente riserve, cosa che la spinge a periodiche svalutazioni della moneta locale che generano ogni volta un’accelerazione dell’inflazione. Un’osservazione superficiale della dinamica descritta crea l’impressione che la causa dell’inflazione sia da cercare nelle periodiche svalutazioni. Ma in realtà il “cattivo del film” è il disavanzo fiscale permanente, finanziato mediante emissione monetaria.

Non vogliamo assolutamente mettere in dubbio la buona fede né dei ricercatori dell’IRE e neppure dei datori di lavoro che hanno risposto al questionario dell’IRE, ma abbiamo alcune difficoltà ad accettare come buone – “at face value”, come si dice in inglese – le risposte che i ricercatori dell’IRE hanno riassunto a pagina 8 dello Studio, scrivendo che “il reclutamento” avviene in modo “per lo più casuale”. Inoltre, prendendo in considerazione la concorrenza fra le ditte, ci risulta ancora più difficile accettare la conclusione secondo la quale (vedi sempre a pagina 8 dello Studio IRE) : “Il rapporto salario/prestazioni sembra essere invece per le aziende ticinesi un criterio di importanza secondaria nel processo di reclutamento.”

Capiamo molto bene – e a chi non succede a volte? – che a determinate domande si possa dare istintivamente una risposta, ma che in fondo in fondo non racchiude totalmente la verità.

III

Anche il nostro terzo punto d’attenzione si riferisce all’inchiesta dell’IRE. Per ottenere un panorama più equilibrato e poter eventualmente effettuare un incrocio delle informazioni ottenute con lo scopo di valutarne l’affidabilità, ci sarebbe piaciuto che l’IRE non avesse svolto soltanto un’inchiesta fra i datori di lavoro, ma anche fra le persone che si erano presentate per un posto di lavoro, ma che poi sono state respinte. Finalmente, ci sarebbe piaciuto sapere in quanti o in che percentuale degli annunci di ricerca di personale viene specificato, o anche solo insinuato, che “si assumono solo frontalieri”. Abbiamo tutti visto le foto sulla stampa locale di quella ditta che aveva collocato vicino alla porta d’entrata un cartello che diceva “Solo frontalieri”. Ed abbiamo tutti letto la lettera aperta di quel giovane neodiplomato ticinese che si era sentito dire apertamente che la ditta alla quale si era presentato, “assume solo frontalieri”. Ricordiamo bene che dopo quella lettera si diceva che per trovare un lavoro in Ticino, bisogna andare a stare a Como o Varese. Si impone ovviamente la domanda: si tratta di casi eccezionali oppure di casi che avvengono con una certa frequenza?

IV

Ma anche il nostro quarto ed ultimo punto d’attenzione parte da alcune conclusioni dell’indagine fra le aziende ticinesi. Leggiamo sempre nel riassunto a pagina 8 dello Studio IRE: “L’analisi delle risposte mostra che il reclutamento per lo più “casuale” di lavoratori stranieri da parte delle aziende ticinesi è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire. Al secondo posto le ragioni più frequentemente citate per l’assunzione citano carenze di competenze.”

Ed anche nel paragrafo seguente si torna a parlare di “carenza di lavoratori qualificati in Ticino”. Si impone ovviamente la domanda: qual’è l’origine di questa carenza di competenze? È una questione di motivazione al lavoro? O si deve a carenze del sistema educativo o di formazione professionale in Ticino? In questo caso chi è maggiormente responsabile? Oppure esistono altre ragioni?

***

Per calmare gli animi che a nostro avviso si sono scaldati fin troppo in questa faccenda, ci sia permesso di concludere con un aneddoto giocoso (che si trova nella prima nota a piede di pagina di un articolo di Edmund Phelps, Premio Nobel di economia 2006): Sembra che il pubblico di Parma fosse molto critico nel valutare la bravura degli attori e cantanti nell’esecuzione di opere liriche. Ebbene, una sera dopo che un certo tenore aveva eseguito una famosa aria, il pubblico sembrava non voler smettere di applaudire. Ad un certo punto, il tenore uscì nuovamente sul palco per ringraziare il pubblico e fece dei segni per cercare di fermare gli applausi e poter così continuare l’esecuzione dell’opera. Ad un certo punto effettivamente gli applausi si affievolirono, ma in uno dei palchi si alzò uno spettatore che gridò: Noi continueremo ad applaudire e tu continuerai a cantare quell’aria finché non l’avrai cantata bene!

historicus