Chiasso, 1° agosto 2016

Regazzi ytStimati Sindaci di Balerna, Chiasso e Vacallo

Spettabili autorità comunali

care e cari concittadini del Mendrisiotto,

 

è per me un grande piacere, oltre che un onore personale, esprimermi davanti a voi in occasione del Natale della Nostra Patria. Da quando sono diventato Consigliere nazionale i festeggiamenti del Primo di Agosto sono un’occasione privilegiata per riflettere sui valori fondanti del nostro Paese in un’ottica contemporanea. Ed è per questo che ho accolto con entusiasmo il vostro invito, per il quale vi ringrazio.

Visto dal Locarnese, da dove provengo, i “momò” passano per essere cordiali, socievoli e aperti di vedute. Il Mendrisiotto può dunque ben dirsi una piccola e vivace comunità regionale. Del resto non esistono svizzeri, ma esistono “gli Svizzeri”, “i Ticinesi” e quindi anche “i Momò”. Oggi questi tratti variegati sono più difficili da riconoscere. Le carte si sono mescolate, il particolarismo ha lasciato il posto ai “non luoghi”, alla mobilità delle persone, del sapere, delle mentalità e delle culture. Ma “i Momò”, come comunità caratteristica continuano ad esistere e resistere, un po’ come gli irriducibili Galli del piccolo villaggio dell’Armorica nella famosa storia del fumetto francese Asterix.

Rivolgendomi alle cittadinanze di Balerna, Chiasso e Vacallo mi rendo conto di parlare alla parte più a sud della Confederazione elvetica, quindi a una realtà di frontiera che, per definizione, ha peculiarità e caratteristiche diverse dal resto del Paese.

È indubbio che il Mendrisiotto vive i mutamenti del nostro tempo prima di altre regioni: porta principale del Ticino e della Svizzera verso l’Italia, primo avamposto per l’arrivo di rifugiati alla nostra frontiera, ma anche confrontato con diverse altre problematiche dettate dalla vicinanza con l’Italia. Penso in particolare ai noti problemi del traffico, generato quotidianamente dai pendolari che dall’Italia vengono da noi a lavorare e da quello di transito lungo l’asse nord-sud.

Lo svincolo di Mendrisio contribuirà indubbiamente a migliorare la situazione, ma evidentemente non basterà. Il congestionamento da e verso Lugano nelle ore di punta è riconducibile ad un’autostrada sovraccarica, al limite della saturazione. Inutile farsi illusioni: un aumento della capacità è irrealizzabile a corto-medio termine. Occorre quindi puntare – come già si fa in altre regioni svizzere – su di un potenziamento del trasporto pubblico e, dove è possibile, su di una gestione diversa degli spostamenti (orari di lavoro, telelavoro e carpooling/sharing). Ma ci vogliono soprattutto nettamente più posteggi park and ride alle stazioni vicino alla frontiera e vanno migliorati i collegamenti verso le stazioni ferroviarie. Più gente sui treni, meno sulla strada, ma per raggiungere questo obiettivo bisogna ampliare l’offerta di trasporto pubblico e non punire chi usa l’automobile, spesso senza disporre di alternative.

Consentitemi a questo punto, cari amici e concittadini Momò, di spendere due parole riguardo la tassa di collegamento, accolta di stretta misura in votazione popolare lo scorso 5 giugno ed entrata in vigore proprio oggi, Primo di Agosto. So che il Mendrisiotto, per le note difficoltà viarie che ho appena ricordato, si è espresso a favore di questa tassa, che in realtà è un’imposta. Tuttavia, pur nel pieno rispetto della volontà popolare e in attesa di una decisione riguardo i preannunciati ricorsi al TF, continuo a contestare queste modalità di chiamare alla cassa lavoratori e consumatori senza contropartita. Ero e resto convinto che l’equazione tassa di collegamento = meno traffico è sbagliata e illusoria! Il lavoratore-consumatore pagherà la tassa ma il traffico non diminuirà, e quel che è peggio lo Stato non avrà fatto i compiti. Da un lato ci tassa chiedendoci di lasciare a casa l’auto, dall’altro non offre le necessarie alternative che ho già citato: park and ride nei pressi delle stazioni del treno, anche oltre confine, o sviluppare una rete di trasporti pubblici che soddisfi anche quelle regioni densamente popolate da imprese e lavoratori da dove oggi il trasporto pubblico è quasi del tutto assente. Per questo motivo in qualità di presidente dell’Associazione Industrie ticinesi mi sono opposto alla tassa, ribadendo nel contempo la nostra disponibilità a collaborare con le autorità cantonali e a fare la nostra parte per contribuire a trovare soluzioni praticabili ed efficaci. Se invece lo scopo è – come in questo caso – solo quello di fare cassa noi non ci stiamo e ci batteremo sempre per contrastare questa e altre derive di stampo statalista e illiberale.

“Ci vuole un villaggio per crescere un bambino” recita un preverbio africano, ripreso di recente da Hillary Clinton nel suo discorso per la nomination democratica. In un’Europa attraversata dai venti mortali di una nuova utopia impregnata dal fanatismo sanguinario, questo semplice proverbio ci ricorda l’importanza della famiglia e della solidarietà sociale. A noi svizzeri, appartenenti a 26 cantoni, riuniti in un’alleanza confederale “al fine di rafforzare la libertà e la democrazia, l’indipendenza e la pace, in uno spirito di solidarietà e di apertura al mondo” come recita il preambolo della nostra Costituzione, l’appartenere ad una piccola comunità, incastonata nel cuore dell’Europa, posizione a prima vista vulnerabile, si rivela invece una grandissima opportunità, grazie ai nostri valori fondanti. Dobbiamo quindi continuare sulla strada  delle collaborazioni e degli accordi internazionali, quella della neutralità e dei buoni uffici per la pacificazione dei conflitti. Ebbene sì, la nostra storia si muove in questa direzione, grazie a generazioni di svizzere e svizzeri che alla chiusura a riccio preferisce quella del dialogo e del confronto. Una scelta lungimirante, decisiva per il nostro benessere, anche sul piano economico.

Nella mia veste di imprenditore voglio qui sottolineare con forza che lo sviluppo non può realizzarsi nell’autarchia che qualcuno ha in mente, in un Ticino chiuso da muri alle frontiere e reso impenetrabile agli stranieri. Del resto a due mesi dall’apertura di Alp Transit possiamo solo attenderci a un cambiamento epocale. Per il Ticino, le opere di grande ingegneria ferroviaria hanno sempre segnato una svolta storica e dopo l’apertura della Galleria del Ceneri nel 2019, il Ticino diventerà ancor più l’intersezione tra lo spazio economico compreso fra Zurigo e Basilea e la vicina Lombardia.

Questo fatto dovrebbe aprire una sana riflessione sulla tentazione di voler rendere ermetiche le frontiere e regolamentare in modo eccessivamente rigido l’accesso della manodopera al mercato del lavoro. Se svolta intelligentemente ha un senso, ma se vogliamo continuare sulla via dello sviluppo e dunque della crescita del nostro territorio in termini di benessere economico e sociale dobbiamo accettare anche la sfida della competitività che non si combatte con la chiusura. Ed è proprio su questi due fronti che si gioca la sfida dell’applicazione dell’iniziativa del 9 febbraio 2014: la quadratura del cerchio appare difficile anche se il Ticino una possibile via d’uscita l’ha indicata. La palla è ora nel campo della politica federale per cui seguiremo da vicino gli sviluppi nei prossimi mesi.

Non posso non terminare la mia allocuzione del Primo di Agosto senza rivolgere una riflessione anche al protagonista di questa giornata: l’Inno nazionale, noto anche come Salmo Svizzero.

Ogni tanto, qualche buontempone, torna alla carica con la proposta di sostituire il nostro Salmo Svizzero. La motivazione? È brutto, stantio, non più aderente alla realtà… È come dire: “la bandiera con la croce non è estetica, sostituiamola con una a quadretti”, idea invero già balenata nella mente di del solito benpensante, più preoccupato a non urtare la sensibilità di talune minoranze religiose o agnostiche che della salvaguardia dei nostri valori e delle nostre tradizioni.

Quindi anche l’Inno Nazionale non è rimasto al riparo da questo sforzo creativo e ci ha pensato – sebbene nessuno glielo avesse chiesto – la Società svizzera di utilità pubblica, che immagino pochi di voi conoscono, a lanciare un concorso e a decretarne il vincitore. Per la cronaca l’ha spuntata tale Werner Widmer, con l’Inno dal titolo “Rosso-bianco in unità”, mantenendo – a quanto pare – invariata la musica.

Vorrei comunque tranquillizzarvi: non ho nessuna intenzione di cantarvi il nuovo testo, e non solo perché non sono particolarmente intonato. Permettermi invece di soffermarmi sul senso di questa bislacca iniziativa di “restyling”.

La musica e le parole di un inno nazionale hanno un significato simbolico. Ma non solo: rappresentano il nostro Paese a tutti gli effetti, come il nome “Svizzera”, come la bandiera a croce bianca su sfondo rosso. Le categorie bello, brutto, moderno e vecchio non si applicano ai simboli.

I simboli servono per richiamare alla mente dei concetti, un passato storico comune, dei valori condivisi, e non per appagare il gusto di qualche illuminato mosso da criteri estetici pur sempre soggettivi e individuali. Non si canta il Salmo Svizzero per ascoltare della buona musica, ma per far presente a chi lo ascolta che qualcuno sta rappresentando la nostra Patria, il suo popolo, le sue istituzioni.

Forse nel 1981, data dell’ufficializzazione dell’attuale Salmo, si sarebbe potuto scegliere un inno più bello e già allora il testo poteva essere aggiornato. Ma la decisione del Consiglio federale è stata di confermare come inno il canto che veniva intonato nelle manifestazioni sin dal 1841!

Da allora, non si contano più gli alzabandiera accompagnati dalle note del Salmo Svizzero e dalle parole cantate, spesso solamente mormorate, da cittadini, politici, militari, sportivi (seppur con qualche difficoltà come abbiamo ancora constatato ai recenti Europei di calcio…) nelle più svariate manifestazioni.

Ecco perché sono contrario a sostituire il nostro inno, e anzi sono favorevole a insegnare in tutte le scuole elvetiche il significato esatto delle sue parole, come saggiamente deciso dal Gran Consiglio ticinese qualche anno fa.

Quindi ringrazio la Società svizzera di utilità pubblica per aver contribuito in modo costruttivo al dibattito riguardo il nostro inno, ma della nuova proposta non saprei francamente cosa fare. Non si baratta un inno nazionale, simbolo della nostra identità, con altre parole, perché l’inno e quelle parole vecchie oramai di 175 anni (1841) sono cariche di storia, di orgoglio, di emozioni: sono, in altri termini, un consolidato riferimento per un intero paese. Il nostro Paese. E ciò non è poco considerate le differenze che ci dividono e nel contempo, grazie alla nostra storia, ci uniscono. Altre parole, o altri inni, per quanto più moderni siano non ci porteranno mai quella dote di valori che suscita in noi il nostro caldo, e per me molto bello “Quando bionda Aurora il mattin c’indora, l’alma mia t’adora, Re del ciel…”

E allora, care e cari concittadini, buon 1° di Agosto a tutti.

Grazie Mendrisiotto e viva la Svizzera.

Fabio Regazzi, consigliere nazionale