L’anno 2016 aveva suscitato molte speranze di una possibile e non troppo lontana Liberazione. Prima la Brexit, poi l’imprevista vittoria di Trump, infine il referendum italiano avevano segnato altrettante tappe di quello che appariva un sussulto di coscienza e orgoglio   da parte degli occidentali,  non più disposti ad essere governati da personaggi in odore di mafia, oggettivamente, anche se non sempre soggettivamente, complici della stessa. Il 2017  ha invece registrato una battuta d’arresto, iniziata con le elezioni austriache di dicembre , proseguita con quelle olandesi e quindi con l’avvento di Macron in Francia. Qualcuno si consola con le lusinghiere  percentuali ottenute dai movimenti antisistema, ma noi non possiamo condividere il loro ottimismo: in politica si vince o si perde. Inutile scaldarsi alle fascine bagnate dei secondi posti: i poteri forti hanno prevalso e, almeno per ora, hanno scongiurato o quantomeno rinviato di parecchio la loro uscita di scena. Come si spiega tutto ciò?

Dopo i traumi sopra ricordati, che avevano scosso le certezze della malavita finanziaria internazionale, quest’ultima ha serrato i ranghi ricorrendo a minacce, ricatti morali e vane promesse, grazie al suo pesantissimo apparato mediatico e di corruzione. Le solite previsioni apocalittiche, circa le tragedie che avrebbero fatto seguito a un possibile abbandono della moneta unica e a una eventuale  uscita di alcuni paesi dall’UE, si sono sommate a ben precisi messaggi trasversali diretti ai cittadini degli Stati ove presto si sarebbe votato.

Tra questi, la vistosa e tecnicamente inspiegabile risalita delle Borse a poche ore dal primo turno delle elezioni francesi, oltre alla svalutazione di mezzo punto del rating italiano ad opera dell’Agenzia Fitch , una delle massime espressioni dei clan. I messaggi apparivano chiarissimi: i nostri cugini di Oltralpe sono stati blanditi e ricompensati per la loro scelta ragionevole , mentre agli italiani è stato consigliato di non farsi venire strane idee alla Le Pen. Si tratta dell’applicazione pedissequa e perfino ridicola , tanto sembra ingenua, del principio del bastone e della carota, della serie parlare a nuora perché suocera intenda. Non essendo nati ieri, rideremmo di cuore per tanta  improntitudine e manifesta arroganza, ma non ce lo possiamo permettere essendo in gioco l’avvenire nostro e dei nostri discendenti.

La domanda che tutti dobbiamo porci è quali siano gli errori o le mancanze dei partiti antisistema e cosa si possa fare per recuperare il terreno perduto. Spiegare tutto con la paura del ricatto, anche se qualcosa di vero c’è, non rappresenta una risposta sufficiente. Non è infatti presumibile che milioni di elettori se ne siano fatti influenzare al punto da dimenticare la tragedia che loro stessi vivono, fra attentati, invasione islamista, disoccupazione al 50% , tassazione da rapina  e nessuna prospettiva futura. Se questo è malgrado tutto avvenuto, ci devono essere pure altre ragioni.

La prima che balza agli occhi è l’assenza di una proposta organica e coerente di modello alternativo di sviluppo, da parte dei movimenti antiregime. Contrapporsi alla mafia è di sicuro sacrosanto, proporre l’abbandono di un edificio europeo ove soltanto l’interesse dei gruppi dominanti conta, sono presupposti encomiabili per attirare consenso, ma da soli non bastano, come le recenti esperienze dimostrano. Dire no  a un mondo degradato e a una società  in declino deve quindi rappresentare soltanto la premessa per costruire nuovi scenari, e da tale punto di vista le forze politiche austriache , olandesi e francesi vicine  al nostro pensiero si sono mostrate inferiori al compito. In Italia la situazione non sembra molto migliore,  ed è per questo che riteniamo utile avanzare talune proposte.

Un programma alternativo di governo deve infatti rispondere alle aspettative della popolazione la più vasta possibile, individuando i suoi reali problemi e le sue giuste richieste. A fondamento di tutto porrei la questione della sovranità popolare, determinante per coloro che si definiscono sovranisti ma che invece figura ben poco, e spesso in modo inappropriato , nei loro progetti. Il cambiamento può essere esclusivamente il risultato di una profonda rivoluzione partecipativa, le caratteristiche della quale abbiamo già in altre occasioni descritto. Riassumendone i tratti essenziali essa consiste nella riforma radicale delle istituzioni democratiche, in  modo  che il flusso delle decisioni  si sviluppi dal basso verso l’alto e non viceversa. La democrazia fondata sulla rappresentanza partitica deve essere inizialmente affiancata da quella diretta, in vista di una sua completa sostituzione nei tempi necessari al consolidarsi delle nuove abitudini.

Qualcuno potrebbe sollevare il problema dell’incompatibilità di questa forma di governo con il principio d’autorità, indispensabile per prevenire l’anarchia. Tale preoccupazione si rivela però infondata, qualora si afferri la vera natura della società partecipativa, che poggia su due pilastri essenziali , il primo rappresentato dalle istituzioni a garanzia della sovranità popolare ( Camera delle Competenze  o delle Categorie ) , il secondo da un Capo dello Stato eletto a suffragio universale  e quindi dotato di una investitura del tutto legittima,  che in caso di estremo pericolo possa addirittura assumere i pieni poteri  a tutela del rispetto della legge ( vedi l’art. 16 della Costituzione francese). Tale principio, detto della doppia rappresentanza, dovrebbe essere esteso agli enti locali, per cui l’intera gerarchia politica e amministrativa funzionerebbe coerentemente  allo steso modo.

Un progetto sovranista dovrebbe quindi iniziare da una profonda riforma  istituzionale  non fine a se stessa, bensì strumento indispensabile per avviare una vasta revisione dei rapporti sociali ed economici,  non calata dall’alto, ma espressione del  consenso popolare.  Simile cambiamento acquisterebbe un profondo significato rivoluzionario. In epoca non sospetta pubblicai un saggio, Problemi di metodologia scientifica nella ricerca psicologica umanistica  (ed. Thule , Palermo , 1983, p.50 ), in cui stabilivo un parallelismo  sociologico  con il principio del moto continuo proprio della fisica, applicandolo alla teoria del mutamento sociale:

“Se vogliamo rappresentarci il mutamento sociale sulla base della continuità, ci dobbiamo servire  del consueto diagramma di ascisse e ordinate. Subito ci accorgiamo della difficoltà di attribuire valori numerici alle fasi successive del cambiamento e ciò perché, essendo queste ridotte ormai all’infinitesimo, non ci basterebbe la spiaggia del mare per scriverle tutte in fila. Dobbiamo quindi concludere che non è più possibile, in base a questo nuovo modo di vedere le cose, raffigurare il mutamento per mezzo di una successione di punti intervallati da spazi vuoti, bensì servendoci di una linea continua ascendente per il periodo considerato. Ci rendiamo allora conto di aver creato un continuo storico, all’interno del quale  non si succedono più fasi nettamente distinte l’una dall’altra, caratterizzate da fenomeni di rottura violenta con l’assetto precedente ( rivoluzioni , crisi economiche , guerre), che secondo la teoria della discontinuità sono compagni  inseparabili del mutamento, ma di aver previsto un cambiamento ininterrotto di equilibri sociali, in pratica una rivoluzione continua e pacifica”.

La strada per raggiungere simile traguardo è il costante adeguamento delle strutture socio-economiche  al mutare delle situazioni , che soltanto  uno Stato integralmente partecipativo può garantire. La partecipazione, in tal modo, esce dagli angusti limiti  di uno slogan utopistico , come molti  ancora la considerano, per rivestire i connotati di una rivoluzione umanistica d’immensa portata, la sola in grado di soddisfare le sempre più complesse esigenze della società del futuro.

Un progetto credibile di convivenza alternativa non può tuttavia limitarsi agli aspetti istituzionali, ma deve includere proposte precise in materia  socio-economica. Tra queste ricordiamo la fiscalità, che deve diminuire almeno del 50%  rispetto al peso attuale. Per quanto la Flat Tax al 15%  di cui parla Salvini, o quella del 20 a cui arriva  Berlusconi, possano rappresentare un obiettivo auspicabile di lungo periodo, nell’immediato ci contenteremmo di tre aliquote , purché comprensive di tutti gli esborsi dovuti dal cittadino, la più bassa delle quali al 18% , una intermedia al 26 e la più alta  al 34,  in funzione del reddito effettivamente prodotto. Dovrebbero invece sparire integralmente le imposte gravanti sul patrimonio  infruttifero, che rappresenta un onere  e non un privilegio per il proprietario. Il tetto massimo della pressione fiscale dovrebbe poi essere inserito nella Costituzione, in modo da richiedere una legge apposita in caso di modifica.

Un’altra riforma indilazionabile è quella del Welfare, apparato oggi largamente assistenziale, che non può più essere mantenuto nella forma vigente sia per motivi finanziari , sia demografici. L’intero sistema di garanzie, per far funzionare il quale è oltretutto necessaria una burocrazia pletorica, inefficiente e spesso corrotta, dovrebbe essere sostituito da un  solo assegno integrativo, dignitoso e non un’elemosina, ad esclusivo beneficio di coloro che non per loro colpa o libera scelta si trovassero privi di reddito  o con un reddito insufficiente , in cambio di un lavoro assegnato dallo Stato, rifiutando il quale il percettore verrebbe a perdere immediatamente il sussidio, e della frequenza obbligatoria di corsi di riqualificazione professionale. Ogni altra elargizione, salvi i diritti acquisiti e ancora vigore, dovrebbe essere abolita.

Quanto ai provvedimenti relativi alla lotta all’immigrazione clandestina , alla criminalità  e al terrorismo, i programmi  di Salvini e della Le Pen, salvo qualche aggiustamento o miglioramento, sono  in linea di massima condivisibili. Fin qui abbiamo sommariamente descritto i primi provvedimenti che un movimento alternativo dovrebbe far propri, presentandoli agli elettori senza tenere minimamente conto delle pressioni  della UE. Ove questa non interferisse, non vi sarebbe ragione di chiedere l’uscita; in caso contrario l’espulsione eventuale si presenterebbe come accadimento di forza maggiore. Molti altri consigli ci sarebbero da dare alle forze sovraniste, ma richiederebbero un saggio completo di scienza sociale. Credo tuttavia che quelli accennati sarebbero già sufficienti per indicare la direzione in cui seriamente marciare , se volessero davvero proporsi come concreta alternativa di governo.

Carlo Vivaldi-Forti