A nostro avviso il punto di partenza dovrebbe consistere nel liberarci dall’imperativo categorico: “Questa TV di Stato ci deve essere, dev’essere eterna, e nessun’altra soluzione sarà possibile, pena la catastrofe”. Perché, se le cose stanno così, non c’è nulla su cui discutere.

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MARCO PORCOSPINO  (dal Web)  Vorrei dare un modesto contributo alla discussione. Usando gli insegnamenti di Edward de Bono sul “pensiero laterale” provo a spostare la discussione verso uno scenario alternativo. Per fare ordine ed evitare inutili litigi provo a procedere per gradi. La prima domanda è: “Serve un servizio pubblico in campo audiovisivo?”. Poi ci possiamo chiedere: “Come un servizio pubblico dovrebbe raggiungere gli obiettivi istituzionali?”. Infine: “Come sta procedendo adesso è adeguato, eccessivo o carente rispetto agli obiettivi ed ai mezzi messi a disposizione?”. E poi ancora, volendo: “Esistono altri metodi per raggiungere lo stesso obiettivo istituzionale con meno risorse, evitando eventuali sperequazioni, peculati, clientelismi e sprechi?”. Partendo dal primo punto, l’obiettivo della TV e dell Radio un tempo era chiaro ed assolveva perfettamente agli scopi. Era un mezzo innovativo che istruiva, condivideva, educava, intratteneva e poteva raggiungere facilmente tante persone. Oggi è chiaro che non ha più senso. Ci sono intere categorie di persone che semplicemente non accendono la televisione o non ascoltano la radio pubblica. Mai. Ci sono altresì fasce di persone che non acquistano i giornali. Pertanto si può ritenere che un servizio pubblico audiovisivo per raggiungere i propri scopi istituzionali, ovvero raggiungere ed offrire un servizio imparziale alla maggior parte delle persone debba utilizzare più mezzi e strumenti, altrimenti rischia di investire tante risorse per raggiungere un numero sempre più piccolo di persone. Ma quali potrebbero essere gli scopi di questo servizio pubblico? Fornire informazioni il più possibili imparziali, favorire il dibattito su tematiche scottanti e complesse, creare cultura per migliorare il vivere civile, educare le persone in modo rapido a svolgere attività (tutorial), far conoscere il Ticino (parlando di quello ticinese) alla Svizzera ed al resto del mondo, far conoscere il resto del mondo e la Svizzera al Ticino. Ma anche favorire la crescita di creatività locale, aggiornare le persone sulle attività e le specialità del territorio, dimenticandosi la paura di “fare pubblicità” perché tutto ciò che possa essere di interesse pubblico alla fine è di interesse pubblico. E’ giusto per esempio che il servizio pubblico svolga attività giornalistiche “in perdita” ovvero impegnative, che non troverebbero finanziamenti privati, magari perché scomode, ma anche educare ad una lingua italiana corretta, senza dimenticare uno spazio per i dialetti locali che vanno preservati. La lista potrebbe essere lunga. Credo prima di tutto che questa sia la prima e fondamentale discussione: a cosa serve? Immaginiamo quindi che ci sia trovati d’accordo sul fatto che serva un servizio pubblico e che debba quindi essere finanziato, verrebbe subito da dire che, affinché sia davvero libero, NON dovrebbe essere finanziato con la pubblicità. Purtroppo gli interessi privatistici pubblicitari SEMPRE condizionano la libertà e per forza di cose danneggiano la qualità del lavoro giornalistico ed informativo. Quindi avremo probabilmente un servizio pubblico a totale carico del contribuente, solo così potrà essere libero. Vediamo adesso se tv e radio possono raggiungere gli obiettivi di informazione e cultura (ed eventualmente intrattenimento) previsti. La risposta è facile dimostrare che sia negativa. Oggi tv e radio non raggiungono tutto il pubblico. Occorre quindi il web, le App ed i Social. Bisogna essere presenti anche lì. Sì, ma come? Duplicando i contenuti prodotti per la tv o la radio? Creando contenuti ad hoc? E questi contenuti sono interattivi o unilaterali? Perché un servizio pubblico possa funzionare e raggiungere i propri obiettivi, va ricordato che il suo uso in qualche modo debba essere quasi naturalmente obbligato. In passato quasi tutti guardavano la tv ed ascoltavano la radio, ma oggi con il web e con tante alternative io potrei disporre di un canale pubblico e forse non sapere neppure che esista. Quanto giovani oggi visitano il sito rsi.ch per esempio? E per far cosa? Dobbiamo quindi domandarci non solo quali contenuti, ma anche ragionare sulle modalità con cui questi contenuti vengono proposti affinché la maggior parte delle persone ne possa disporre e goderne. Ora, per un momento, facciamo finta di aver risolto il problema di quali modalità e chiediamoci se queste modalità le stiamo sviluppando in modo corretto, se spendiamo bene, se l’investimento è adeguato al risultato, se non ci sono meccanismi distorsivi interni che pregiudicano o danneggiano il raggiungimento degli obiettivi istituzionali. Qui naturalmente non entro nel merito perché non mi compete. Ognuno farà le proprie valutazioni. Ci sono sedi opportune dove chiarire questi aspetti. Dividete il costo totale della RSI per gli spettatori e saprete qual è il valore della prestazione. Quindi la domanda opportuna sarà di capire se quei soldi, per gli obiettivi istituzionali, sono ben spesi rispetto alla vastità e profondità del risultato raggiunto. Come dolcetto finale, disegniamo uno scenario alternativo: “cosa accadrebbe se scoprissimo che i soldi del canone potrebbero essere spesi per raggiungere gli stessi scopi istituzionali di informazione, cultura ed intrattenimento, ma senza usare la radio o la televisione o il web così come oggi li vediamo e concepiamo? Perché non ci sediamo intorno ad un tavolo ed avviamo un grande brainstorming per provare a capire come spendere gli stessi soldi, ma con una efficacia antica inserita in strumenti moderni?”. La mia personalissima opinione, in risposta a queste domande, è questa: io sono a favore di un servizio pubblico che su tutti i mezzi di comunicazione (radio, tv, app, social, forum, ecc.) cerchi di fornire informazione e cultura libera, intrattenimento di qualità, che abbia gli scopi suddetti. Ovvero favorire l’apertura verso l’esterno, la contaminazione, ma anche la conoscenza del proprio interno. Detto questo riguardo ai soldi da investire penso che ci siano due possibili scenari: o grandi investimenti che abbiano una vera e profonda ed equa redistribuzione sul territorio, con un contatto stresso e diffuso tra media e popolazione; oppure un investimento ridotto, ma di grande livello, che produca contenuti così interessanti e ben fatti, così liberi e di qualità, da generare una forte attrazione e quindi battere la concorrenza dei mezzi attraverso valore, serietà, libertà, imparzialità, profondità ed efficacia. Personalmente sono cresciuto con il mito della TV Svizzera (finché in Italia si poteva vedere) oggi che sono qui ormai da svariati anni, ritengo che ci siano alcuni punti di eccellenza che vadano difesi, ma anche moltissime aree di miglioramento strategico e svariate linee di miglioramento. Personalmente ho fatto recapitare alla RSI anni fa un documento strategico in cui si delineava il ruolo dell’audiovisivo ticinese (e non solo) del futuro. Voi direte “ma tu chi ti credi di essere?”. Bene forse non tutti lo sanno, ma, anche se oggi mi limito a produrre qualche modesto format tv, mediocri sceneggiature, accettabili cortometraggi e risibili film, in realtà sono stato (e sono in alcuni ambiti ancora oggi) un consulente strategico specializzato in modelli previsionali che fatturava al giorno quello che la maggior parte delle persone prendeva in un mese. Questo non perché io avessi alcuna qualità, ma solo perché anche la previsione degli scenari futuri è un lavoro, in parte scientifico ed in parte empirico, che si può apprendere e sviluppare. Mi piacerebbe quindi avere le vostre opinioni su ciascuno dei punti (distintamente presi) che ho provato a delineare.

Marco Porcospino