2017

«Lo so. Ora so quando si è felici. Si ricorda di quel giorno?»
Il vecchio annuì.
«Lei non me l’ha mai più richiesto, ma ora lo so. So che si è felici solo quando si è amati di un amore grande ed eterno e quando si ama. Quando si ama a propria volta di un amore così grande.»

* * *

Abbiamo avuto la gradita occasione di intervistare l’Autrice, che conosciamo personalmente da qualche anno e che ha scritto per Ticinolive alcuni interessanti articoli (usare il tasto di ricerca).

Un’intervista di Francesco De Maria.

Francesco De Maria  Con i racconti che compongono il libro Rose di notte è arrivata tre anni consecutivi in finale al premio Campiello giovani, vincendolo due volte, e ha ricevuto due importanti menzioni al premio Chiara e al Premio Stresa. Che effetto fa rimettersi a scrivere dopo un palmarès simile e affrontare il suo primo romanzo?

Benedetta Galetti  Non è stato semplice. Non avrei mai immaginato che Rose di notte potesse ottenere un tale successo di critica. È stato un libro importante, molto importante per me. Fino ad allora non avrei mai immaginato che quello che scrivevo potesse avere un valore, al di là di quello che rivestiva per me. Mi ha dunque messo davanti a una realtà che non conoscevo e non speravo. Ricominciare a scrivere non è stato difficile. Ciò che invece è stato molto difficile e ha richiesto tempo, è permettere a ciò che scrivevo di confrontarsi con il passato. La paura di prendere coscienza che Rose di notte fosse un essaie giovanile riuscito e non il primo tassello di qualcosa di più grande.

Cosa significa questo romanzo?

A dirle la verità, devo ancora abituarmi a lui. Devo ancora prendere coscienza della sua reale portata. Per il momento, so che è qualcosa di grande per me. Un passo in più, un passo in avanti. Per certi versi, questo romanzo mi ha insegnato a che punto la finzione possa essere reale. La prima bozza l’ho terminata circa sei anni fa. Poi, per molto tempo, la vita era troppo complicata per lasciarmi il tempo di occuparmi di lui. Quando, dopo anni, l’ho ritrovato, l’ho riletto. L’ho riletto come se non fossi stata io a scriverlo e ho trovato in quelle pagine dei fatti avvenuti ai miei personaggi, fatti che avevo inventato. Fatti che sono diventati reali nella mia vita. E cosi Un amore così grande è diventato, almeno in parte, un romanzo involontariamente autobiografico.

Dunque la protagonista del romanzo, Alessandra, è… Benedetta (in tutto o in parte?)

Il tema dell’autobiografia è ricorrente. Un autore ha detto che raccontiamo sempre la stessa storia. È evidente. Raccontiamo sempre di noi. Benedetta è Alessandra, senza dubbio, ma è anche Giorgia, il Professore Greco e Matteo. È tutti loro, e allo stesso tempo non si esaurisce in loro e viceversa. I personaggi vivono una vita propria, a partire però da chi li ha creati. Il loro creatore rimane parte di loro, ma allo stesso tempo si affrancano dall’atto creatore per diventare esseri autonomi. Sono come figli. Sono parte di noi, ma sono molto di più.

Alessandra alterna momenti di spensieratezza che caratterizzano il suo rapporto con l’amica Giorgia, con passaggi molto più profondi e in parte tormentati che caratterizzano invece il rapporto con il professor Greco. Quali sono gli aspetti del personaggio che più l’hanno appassionata?

Tutti. L’essere umano è complesso. È costituito da una moltitudine di aspetti. Ciascuno vale la pena. Ciascuno è grande e immenso, nella misura in cui è umano.

Tra il vecchio professore universitario, Giovanni Greco, e la protagonista nasce un sentimento profondo. Come lo descrive il romanzo? Come lo interpreta il lettore?

È un rapporto difficile, almeno all’inizio. Greco non è esattamente quello che si direbbe una persona piacevole. Ma in fondo, non abbiamo davvero la possibilità di scegliere. Sarebbe ridicolo credere che scegliamo le persone con le quali costruire un rapporto d’amore e d’amicizia. Greco diventa un amico, in breve tempo, e in un senso profondo e vero. Diventa padre. Diventa maestro. Concretizza il fatto che la vita ci regala degli amori così grandi da poterci rendere felici. La difficoltà è riconoscerli e accettarli. Ma la sfida non è irrilevante perché si tratta dell’unica possibilità che abbiamo per essere felici.

Accanto ad Alessandra troviamo l’amica di una vita, la pittrice Giorgia, con le sue aspirazioni artistiche e la sua vita arruffata. Che cos’hanno in comune le due giovani donne?

Nulla e allo stesso tempo tutto. Ma in fondo non è importante ciò che hanno o non hanno in comune. Ciò che è davvero importante è che hanno bisogno l’una dell’altra. Hanno due modi molto diversi di vivere le sfide, i problemi e i dolori che la vita ha provocato loro. Ma appunto, un rapporto, per essere grande e vero, non ha bisogno di somiglianze per costruirsi. È nella differenza, nello scarto che si crea uno spazio di confronto, di dialogo. È nella differenza che ci rendiamo conto di ciò che siamo.

Il “progetto artistico” di Giorgia, quello che “cambierà il panorama culturale ticinese”, in che cosa consiste? Il libro lo spiega?

Sì, alla fine del libro, Giorgia concretizza il suo progetto. Si tratta di un’idea che ho sviluppato anni fa a Milano, studiando per un esame con delle amiche, e che mi sta molto a cuore. Il panorama artistico contemporaneo è molto diverso da come appariva qualche decennio fa. Rispecchia la nostra società in tutto e per tutto. Un tempo, l’arte valeva nella misura in cui rispecchiava l’umano. L’arte era l’uomo, era il rifletto e l’espressione. Il suo valore era esclusivamente dipendente da questi aspetti. Il valore di un’opera era legato alla sua capacità di rendere la verità in rapporto all’uomo. Oggi, l’arte è essenzialmente idea e volontà. Per parlare d’arte sembra che un’idea e la volontà che diventi arte siano sufficienti. Non sono d’accordo. La volontà non rende una cosa arte. Allo stesso modo in cui l’essere umano non è tale per la sua capacità a decidere. L’uomo è tale nella misura in cui utilizza la libertà per compiere delle scelte che lo avvicinino alla sua realizzazione. La libertà, la volontà, l’autodeterminazione non sono fine a sé stessi.

La vicenda si snoda tra Milano e Lugano. Non ha avuto la tentazione di un’ambientazione più esotica?

No, assolutamente. Ci tenevo molto a parlare della mia città, Lugano, a raccontare i suoi luoghi, così come sono e così come li ricordo dal mio sguardo di bambina. Forse è la nostalgia. E allo stesso tempo, ho voluto parlare di una città con la quale ho un rapporto conflittuale, Milano, e che mi ha accolta per alcuni anni.

Dopo essersi laureata in lettere, ha concluso gli studi di diritto a Friburgo e sta scrivendo un dottorato. Che spazio avrà la scrittura nella sua vita?

Quando ero una ragazzina e mia madre mi rimproverava per qualcosa, l’ascoltavo e non ribattevo. Tornavo in camera mia, triste di aver sbagliato, preoccupata di averla delusa. Scrivevo. Le scrivevo e solamente nella parola scritta trovavo le mie ragioni, i miei argomenti, le mie scuse e i miei propositi. La scrittura è il mio strumento per ordinare la realtà, per esprimere la mia realtà. E ciò che mi permette di essere me stessa. Ci sarà sempre scrittura. Come ce n’è in questo momento. Non sto scrivendo un romanzo, ma un dottorato. In fondo, le differenze sono poche.

Ha già delle idee per un prossimo libro? Quale sarà il tema?

Ne ho tante, tantissime. Forse troppe. Avevo bisogno che Un amore così grande prendesse vita. Non avrei potuto scrivere una sola riga se prima non mi fossi occupata di questo libro. Ho fatto tutto quello che dovevo fare per lui. Ora sono di nuovo libera e posso iniziare a pensare ad altro. Magari non subito. Il tempo di finire il dottorato. Quando anche lui non avrà più bisogno di me, ci sarà spazio per un nuovo romanzo.

Esclusiva di Ticinolive