Quando il trageda Sofocle votò per un’Atene oligarchica

La versione di Aristotele, che differisce da quella di Tucidide, non menziona le violenze attuate durante il Colpo di Stato del 411 

Il Perché è ancora irrisolto…

C’è un’altra fonte, che riporta gli essi eventi in un’ottica ben diversa. Aristotele, nel capitolo 29 de La Costituzione degli Ateniesi, edita per la prima volta solo nel 1891 da un’edizione parziale del 1491, poco tempo prima che venisse rinvenuto un papiro che ne completasse il testo. Sulla paternità dell’opera, vi sono dubbi. Wells, ad esempio, è convinto che non sia di Aristotele, ma dei suoi allievi, ai quali il Maestro, infatti commissionò di redigere 128 trattati sulla Costituzione di ogni città greca. Composta di due parti, i primi 43 capitoli sono una storia dalle origini sino alla metà del IV sec a C (fino al 403 a C ovvero con la restaurazione dopo il secondo Colpo di Stato oligarchico), mentre il capitolo 44esimo è dedicato alla descrizione della democrazia (ripristinata), nell’anno 402. E al capitolo 32 ecco che subentra la trattazione del Colpo di Stato. Se per Tucidide esso nacque con violenza, con uccisioni come quella di Androcle,  per Aristotele esso è solo un normalissimo cambiamento costituzionale. Aristotele definisce addirittura i principali attivisti del Colpo di Stato, Teramene, Pisandro e Antifonte, come “distinti per intelligenza e saggezza.” Per il Filosofo, inoltre, la temporalità è molto più abbreviata: dice che i Quattrocento governarono per soli sei mesi e che, dopo la sconfitta ad Eretria e la ribellione dell’Eubea ad Atene, i Quattrocento vennero sciolti ed il potere affidato ai Cinquemila. E conclude “Sembra che in quel periodo gli Ateniesi siano stati ben governati, considerando che c’era la guerra e la costituzione poggiava su coloro che potevano servire da opliti.” (Aristotele, La Cost. Ateniesi. 44,32).

La versione dei fatti di Aristotele, differisce, dunque, da quella di Tucidide. In primis, un non altrimenti noto decreto di Pitodoro, con il sostegno di Clitofonte, secondo cui sarebbe stato il popolo, a scegliere, “insieme ai dieci probuli esistenti, altri venti, tra coloro che hanno superato i quaranta anni.” La differenza non sta solo nel trattato, quanto piuttosto nel numero: i probuli, scelti dal popolo, sono trenta in tutto (20 oltre ai 10 scelti precedentemente dopo il fallimento della Spedizione Ateniese in Sicilia.) Chi ha ragione tra lo Storico e il Filosofo?

Dal lessico di Arpocrazione (una sorta di enciclopedia ante litteram) che usa i termini tecnici usati dagli oratori attici, sappiamo che i sungrafeis fossero 30 compresi ai 10 precedentemente istiutuiti e da, quindi, ragione ad Aristotele. Arpocrazione usa come fonte due atticisti autorevoli, Andozione e Filocrato, i quali anch’essi propendono per il 30 come numerazione dei probuli. Aristotele, in un’altra opera ancora, questa volta nella Retorica nel III libro, riporta un dialogo tra l’attivista Pisandro  e il celeberrimo tragediografo Sofocle, sull’elezione dei Quattrocento. Alla domanda di Pisandro se avesse votato a favore, Sofocle risponde di sì, “perché al momento – puntualizza – non c’erano alternative migliori.”

Nel dibattito di Colono, come riporta Aristotele, intervennero più persone, tra le proposte anche Aristotele menziona l’abolizione della grafé paranomon. Le proposte concrete fatte dai commissari riguardarono anche le entrare dello stato che “non era possibile impegnare tutte in guerra” nonché che tutte le magistrature, ad eccezione dell’arcontato e delle pritanie in carica, fossero prive d’indennità. Indi, continua Aristotele, tutto il resto della cosa pubblica sarebbe stato affidato a uomini capaci di contribuire alla cosa pubblica, in Cinquemila, che Aristotele pare dunque apprezzare. Tucidide invece non fa parola dei Cinquemila, anzi dice che in quella sede fu fatta la proposta di nominarli, senza però dire nulla sulla loro elezione.

Indi il capitolo 30 delinea la Costituzione del futuro, ovvero quando Atene sarebbe uscita dall’emergenza, mentre il capitolo 31 la Costituzione del presente, ovvero quella del Colpo di Stato. Al Capitolo 32 invece v’è la descrizione dell’oligarchia istituitasi. Aristotele non si discosta da quello che Tucidide racconta, perlopiù, però, lo narra sotto un’altra ottica.

Tra il Filosofo e lo Storico v’è una differenza sostanziale: Aristotele è poco interessato alla qualità degli eventi, quanto piuttosto alle istituzioni, ed è forse per questo che non menziona tutta la violenza narrata da Tucidide, egli parla di un “club di gentiluomini” che cambiano la costituzione, accenna appena al fatto che il popolo fu in effetti costretto a cambiare regime. A Tucidide, invece, interessa la forza di potere, i travolgimenti politici. Le discrepanze, tuttavia, sono tre: 1) il numero dei probuli: per Tucidide 10 scelti in quel momento, per Aristotele 30, di cui 10 scelti in nel 415. Perché? Forse Aristotele attenua la dinamicità del cambiamento, rendendone capi anche gli esponenti dell’ormai ex democrazia (i primi 10 probuli). 2) Tucidide dice che questi 10 sungrafai proposero   l’abolizione della grafé paranomon, Aristotele invece che abolirono il mistos, ovvero l’indennità. 3) Tucidide dice che all’assemblea a Colono si elessero i Quattrocento, Aristotele invece che si istituirono i Cinquemila e che i Quattrocento furono istituiti solo in seguito. Sul numero di emissari, ha ragione probabilmente Aristotele. Sulle altre discrepanze, tra l’altro piuttosto evidenti, invece, è ancora mistero. Rispetto a Tucidide, Aristotele scrive 70 anni dopo: in certi punti concorda con Tucidide, in altri attinge dallo storico Androzione, il quale avendo dritto accesso ai documenti dell’attica negli archivi è senz’altro affidabile.

(continua)

Chantal Fantuzzi