Assistente sociale manda 16enne a vivere con lo zio, che la uccide e ne brucia il corpo

L’orrore si è consumato in Hampshire, ad Havant, vicino a Winchester.

Louise Smiht aveva gli occhi azzurri, i capelli castani e la pelle bianca. Aveva sedici anni e una famiglia un po’ complicata. Aveva litigato con la madre ed era seguita dagli assistenti sociali. Viveva, perciò, con gli zii (con Chazlynn Jane, sua zia materna, ma aveva confessato agli amici di volersene andare perché lo zio, Shane Mays, 30 anni, nutriva un interesse sessuale nei suoi confronti e aveva tentato di molestarla più volte.

La giovane aveva così chiesto all’Assistente sociale di andarsene ma questi l’aveva convinta a restare, appena 24 giorni dopo il fatale colloquio, la ragazza era andata a passeggiare con lo zio, i due avevano avuto una discussione, poi, di colpo, la situazione era precipitata: l’uomo aveva preso a pugni in faccia la giovane, sino ad ucciderla.

Dopo aver ucciso la nipote, Shane Mays ne aveva bruciato il cadavere, per cercare di disfarsene.

Il terribile fatto di cronaca nera era avvenuto lo scorso 8 maggio. Zio e nipote erano stati visti all’interno di un market discutere animatamente: Shane avrebbe sorpreso Louise fumare cannabis in compagnia del suo fidanzato, ed entrambe le cose avevano suscitato la di lui reprimenda nei confronti della ragazza.

La giovane, visibilmente stanca della ramanzina, minacciava di andarsene di casa. I due si erano poi allontanati. Secondo la ricostruzione dei fatti, Shane avrebbe spinto la nipote, Louise avrebbe cercato di colpirlo con un grosso bastone, ma lui l’avrebbe spinta, facendola cadere e battere la testa sul terreno. Dolorante ma viva, la giovane sarebbe stata finita dallo zio, in un accesso di collera.

Gli inquirenti hanno sempre sostenuto che l’origine di tanta ira fosse dovuta al fatto che lo zio aveva abusato della nipote e temeva che ella rivelasse quanto subito. Forse, inoltre, temeva che i rapporti avessero portato a una gestazione.

Il corpo della giovinetta è stato ritrovato parzialmente carbonizzato dopo tredici giorni.

La madre della teenager ha definito l’assassino della figlia (cioè il proprio cognato) un mostro, che non ha mostrato alcun segno di rimorso per l’uccisione della ragazza. L’uomo, infatti, sarebbe entrato nella casa della cognata a cui aveva ucciso la figlia, lo stesso giorno dell’assassinio, osando anche guardarla negli occhi e parlandole come niente fosse.

Shane avrebbe infatti ripetutamente preso a pugni la giovinetta, sino a che il rumore delle ossa frantumate gli ebbe fatto capire che l’aveva uccisa. Dall’esame del DNA il sangue di Louise figurava sotto la suola del “mostro”. Mentre il difensore dell’assassino ha dichiarato che egli dimostra di avere un QI di 63 e di essere fortemente disturbato mentalmente, il giudice, James Newton-Price QC, ha dichiarato che Louise era una ragazzina fragile e bisognosa di attenzioni, preda dell’appetito sessuale dello zio, che viveva con lei in un piccolo appartamento.

L’uomo, 30 anni, è stato condannato a 25 anni di carcere.