“Gateway to Freedom”, Hart Plaza, Detroit – Foto Pixabay

Lo scorso anno un’emittente pubblica francese ha violentemente criticato il filosofo Pascal Bruckner, perché «bianco, maschio e vecchio». Pur essendo anch’io bianco, maschio e (più) vecchio non assumo la difesa d’ufficio dell’intellettuale francese che ha risposto da par suo con un libro: Un coupable presque parfait. In queste poche righe vorrei però commentare una delle presunte colpe dell’uomo bianco al quale (a torto) si addossa la responsabilità esclusiva della terribile piaga dello schiavismo. Purtroppo gli eccessi che sfociano nel fanatismo – molto diffuso oggigiorno – sono spesso figli dell’ignoranza. Ora, a proposito della schiavitù, ricordiamo come nell’antichità era la soluzione migliore per un popolo perdente in guerra, preferibile all’alternativa del venir impalati, squartati o crocefissi vivi. Ma venendo al Medioevo, non possiamo dimenticare che una delle attività più redditizie dei pirati saraceni nel Mediterraneo era l’arrembaggio di navi europee facendo schiavi i passeggeri. Anche più tardi tra il 1500 ed il 1700 gli ottomani con base ad Algeri, Tunisi, Tripoli e nel Marocco abbordavano navi e hanno fatto nel tempo – secondo lo storico Robert C. Davis – oltre un milione di schiavi. Gli abitanti delle coste italiane, spagnole e portoghesi erano terrorizzati dagli attacchi dei pirati. Nelle prigioni per gli schiavi di Algeri le condizioni di migliaia di detenuti erano orribili. Bruckner menziona la tesi di Tidiane N’Diaye, intellettuale africano e mussulmano, che parla di una tratta di schiavi africani ad opera dei conquistatori arabi in combutta con notabili africani (VII secolo) antecedente ai tempi dei «colonizzatori» europei. Il successivo traffico di schiavi africani verso l’America è abominevole, ma è inesatto storicamente considerarlo l’unico e dimenticare la complicità di capi e mediatori africani, come pure pensare che l’ignobile commercio sia stato iniziato solo allora dall’uomo bianco.

Per un completo giudizio è anche utile analizzare quando e in quali Stati è iniziata la campagna per abolire lo schiavismo. Quale primo Stato abbiamo il Portogallo nel 1761, Danimarca e Norvegia nel 1782, la Francia nel 1794 ma effettivamente nel 1815/1848, Inghilterra nel 1803. Negli USA al termine della Guerra di secessione (1865). Stati occidentali in anticipo sul mondo mussulmano con la Tunisia nel 1881 e la chiusura dell’ultimo mercato degli schiavi nel Marocco nel 1920. Ancora più tardi Yemen e Arabia Saudita (1962), Mauritania (1980) e infine Pakistan (1992) – vedi libro Bruckner. Queste date significano anche diverse sensibilità nei diversi continenti per il problema. Tutto ciò non vuol negare le dimensioni e l’importanza del traffico dall’Africa agli Stati Uniti, ma, ripetiamo, storicamente è scorretto voler addossare la responsabilità di pratiche schiaviste esclusivamente all’uomo bianco.

Essendo bianco, maschio e (molto) vecchio sono sospetto di interessi di parte, perciò cito una teste a difesa insospettabile: Ayaan Hirsi Ali, somala, donna, giovane e con genitori mussulmani. Raccomando vivamente a tutti di leggere la sua intervista sulla NZZ (Feuiletton del 21.11.2020) e mi limito a riprendere una sua affermazione: «Anche gli africani hanno schiavizzato altri africani (XVIII secolo) come pure hanno aiutato i mercanti di schiavi: razzismo e schiavismo sono tra le cose peggiori che l’uomo possa aver fatto ma non sono una specialità dell’Occidente».

Fin qui ho fatto dei taglia e cuci da altri testi per giungere alle mie conclusioni. Il progresso eccezionale e stupefacente dell’umanità (specie negli ultimi tre secoli) ha un pesante prezzo. Le vie per le quali si è giunti alla situazione di oggi sono lastricate di sangue, sudore, sacrifici, povertà sordida, crudeltà, indegnità, oppressione dei più deboli, inclusi popoli e governi. Dalla miseria e dalla fame dei nostri lontanissimi e meno lontani antenati (per il Ticino leggere la povertà delle nostre valli nei romanzi di Guido Calgari, Plinio Martini, Giovanni Orelli e per le tragedie dell’emigrazione i testi di Giorgio Cheda). Non si possono aver parole per tutti gli orrori subiti da chi ci ha preceduto, ma non vedo chi possa pretendere di dire di conoscere altre strade che si sarebbero potute praticamente percorrere.

Uno spaventoso contrasto fra tutto il male accaduto e il meraviglioso risultato delle condizioni odierne. Chi può affermare il contrario, anche se moltissimi altri progressi sono necessari? Dinanzi a tale situazione togliere spicchi, per quanto importanti e per quanto dolorosi per alcuni, etnie, popoli o categorie di persone, con sentimenti di rivalsa, con la volontà di applicare la legge del taglione e far forse soffrire chi si pensa abbia lontani antenati che si ritiene abbiano fatto soffrire, è antistorico, ingiusto e sicuramente di nessuna utilità.

Torniamo ad Atene, patria della filosofia, e riflettiamo sul «decreto dell’oblio» emanato dopo la cacciata dei 40 tiranni. Se si vuol rimediare a storture ancora oggi esistenti e che solo l’evoluzione può sanare, dobbiamo collaborare non per punire ma per progredire dimenticando gli impulsi rancorosi della vendetta tesa alla ricerca di colpevoli. Per un mondo migliore è necessario per contro individuare le cause dei disagi di oggi.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata