di Carlo Curti

Questo articolo è un po’ al limite ma esprime bene l’avversione contro l’America nutrita dalla Sinistra pura e dura. Detto ciò bisogna affrettarsi a riconoscere che gli yankees ne hanno combinate di tutti i colori. L’unica consolazione (per noi) è il fatto che sia toccata al presidente Biden, l’eroico angelo che ci ha liberati dal Male.

Suscita un minimo di perplessità l’evidente entusiasmo dell’autore per i Talebani, noti in tutto il pianeta per la loro barbarie omicida (a meno che non sia stato ordito un complotto per diffamarli). Al di là di ciò Curti ha ragione da vendere. Tutti hanno perso e i Talebani hanno vinto.

Ma Biden? Lui piange in diretta TV.

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Kabiu Talebani oppio
Pixabay (Sabine Löwer)

Una Resistenza incrollabile, una guerra troppo cara, le potenze imperialiste in fuga, a casa con maggiordomi e collaborazionistiUn fiume di commenti, notizie false, analisi da embedded per mascherare l’essenza della riconquista di Kabul da parte dei Talebani: Solo la Resistenza ha vinto. Un movimento di liberazione con kalashnikov e infradito  contro la tecnologia delle truppe scelte delle potenze planetarie.Diamo in uso gratuito agli osservatori, per inventarsi chissà quali manovre sottobanco, le trattative di Dhoa e il sospetto che tutto fosse già concordato con gli americani, ma è innegabile che queste trattative sono state il prodotto dell’insostenibilità di continuare la guerra, sono il risultato di 20 anni di guerriglia, di resistenza armata alle truppe straniere  e ai governi al loro servizio, una banda di parassiti a stipendio fisso sulla lista della spesa dell’occupante.

Da tempo gli USA fanno i conti con un’occupazione  che non conviene più e hanno deciso il ritiro tirandosi dietro gli alleati della NATO. Il governo locale si è liquefatto perché  si fondava sui dollari e sulla copertura degli eserciti della coalizione. Venuto a mancare questo retroterra, via le divise, via il vestire all’occidentale, nascondersi o fuggire verso l’aeroporto con il lasciapassare dei rispettivi protettori. Se i talebani non sono espressione di forze sociali specificamente afghane, cosa sono questi? Sono ceti parassitari che hanno costruito i loro privilegi sul rapporto a stipendio fisso con gli oppressori e il loro modello di società, altro che rappresentanti del popolo afghano.

Per venti anni 130 mila soldati non hanno forse tentato di impadronirsi di un territorio strategicamente importante, ricco di materie prime da sfruttare? Lo hanno fatto cercando di schiacciare ogni resistenza. Chi scriverà mai la storia delle torture, dei massacri di contadini e piccola borghesia confessionale che hanno scelto di resistere all’invasione? Dei “danni collaterali”spesso costituiti da vecchi e bambini? Nessuno, se non si riesce ancora a capire che quello che si sta manifestando oggi a Kabul è una vittoria sporca, forse transitoria, ma pur sempre una vittoria contro tutto l’occidente.

I talebani sono dei sanguinari? Mai quanto i piloti e le truppe scelte dei paesi della coalizione, bisognerebbe avere la lucidità di andare oltre la propaganda. Con i sistemi social di oggi il più feroce soldato americano, che rastrella contadini in villaggi a migliaia di chilometri da casa sua, diventa eroe buono da film di seconda mano. Sappiamo che è facile fomentare il buon cuore dei nostri salottieri, i bambini, i vecchi e le donne sono sempre una merce a buon mercato per giustificare le guerre umanitarie o l’invasione di un paese per salvare questa povera umanità. Basta guardare all’uso che viene fatto del problema dei diritti delle donne: sono diventati l’elemento centrale che ha giustificato l’intervento militare in Afghanistan e che oggi condanna senza appello chi ha vinto la guerra.Se i diritti civili delle donne hanno fatto dei passi in avanti dalla caduta dei talebani alla fine del 2001 (ma anche sotto l’occupazione sovietica), è pur sempre in un quadro sociale dove chi comanda è un esercito di occupazione, e dove si può circolare senza burqa per sua gentile concessione.

Che i governi del mercato siano così determinati a difendere i diritti delle donne è una favola, ci sono ancora tante battaglie da fare per attenuare la discriminazione sulla base dell’appartenenza sessuale nel mondo sviluppato che la preoccupazione dei governi occidentali per le donne afghane è pura azione strumentale. Anzi, in realtà, i diritti civili concessi sulla base di scelte delle truppe di occupazione e da un governo loro asservito ha tolto a questi diritti il valore di una vera tappa di emancipazione. I talebani potranno sempre rinfacciare alle donne delle élite urbane di essersi appoggiate agli invasori stranieri. Ora le donne afghane liberate dal peloso appoggio delle forze di occupazione potranno mettersi in movimento in modo indipendente per affermare i loro diritti che questa volta non riguarderanno solo le élite intellettuali delle città ma le donne operaie e contadine delle campagne e dei villaggi. Se si scontreranno con l’oscurantismo del governo talebano lo faranno a nome proprio e non per favorire questo o quel governo imperialista. Meglio un diritto conquistato con la lotta che cento diritti ottenuti per gentile concessione dell’oppressore venuto da lontano.

Dietro ai talebani è indubbio stanno i contadini, il settore agricolo impiega il 44% degli occupati e il 60% di reddito delle famiglie, più del 90% coltivatori di oppio. Il fatto che producano una droga non può trarre in inganno, per loro è una merce come tutte le altre e il crollo dei prezzi del 2020 li ha messi alla fame. Ecco la forza economica dell’oppio: Il papavero essiccato ha un prezzo di 240 euro al chilo, mentre un chilo di fagioli viene pagato 2 euro. La produzione è aumentata in barba ai tanti impegni a limitarne il commercio mondiale, negli ultimi anni la NATO ha fatto affiggere nei villaggi dei contadini manifesti con rassicurazioni che la produzione di oppio non sarebbe stata limitata. Nel 2016 la produzione è stata di 4.800 tonnellate, nel 2017 è quasi raddoppiata a 9.000 tonnellate, le aree coltivate nel 2012 erano pari a 157 mila ettari, nel 2019 344 mila ettari, più che raddoppiate. La discesa dei prezzi del 2020 ha scaricato il suo effetto sui contadini e sui braccianti agricoli. Conviene ricordare che buona parte del raccolto è ancora manuale, a fianco dei piccoli coltivatori c’è un proletariato agricolo numeroso, oltre agli operai addetti alle costruzioni. Nella sola provincia di Helmand negli ultimi tempi sono state costruite 48 mila nuove abitazioni. Il reddito complessivo prodotto dalla coltivazione dell’oppio veniva così suddiviso: ai Talebani come forza organizzata, nelle zone da loro controllate, andava il 5%; ai produttori diretti il 20%; ai funzionari di governo, polizia, mediatori e trafficanti il 75%.Queste minime notizie sulla situazione nelle campagne afgane servono a sfatare il discorso dei fantasmi religiosi e piantarlo nell’economia. L’ultima vera battaglia i talebani l’hanno combattuta nella provincia di Helmand pochi mesi fa, la regione dove è più intensa la produzione di oppio, dove gli investimenti degli agricoltori in nuove fonti energetiche, i pannelli solari, non li hanno sollevati dalla crisi e dove l’odio verso il governo e l’apparato burocratico di contorno messo su dalle truppe occupanti è aumentato: troppi parassiti da mantenere.

Per concludere la questione dei collaboratori dove sembra siano tutti nati ieri. E’ difficile capire che una resa dei conti con coloro che hanno collaborato con gli occupanti è un prodotto di ogni lotta di liberazione? I “collaborazionisti”, perché così occorre definirli per capire qualcosa, tagliano la corda al seguito dei propri protettori, a restare in Afghanistan rischiano molto. Venti anni di servizi resi agli americani, inglesi, tedeschi e italiani, e non sono stati solo servizi da scrivania, ma anche di spionaggio e delazione, il loro addestramento come poliziotti e soldati, hanno lasciato il segno e che ci sia voglia di fare i conti si capisce. Ma non è nemmeno così fino in fondo, nell’accordo con i talebani c’è l’esodo concordato verso l’aeroporto di Kabul, le terribili scene di migliaia di fuggitivi accalcati sono di responsabilità degli occupanti che si stanno ritirando, non riescono nemmeno a far fronte alle richieste di trasferimento o almeno razionalizzarle tanto da  finire loro a sparare sulla folla inferocita.

Infine matura un nuovo problema: il blocco delle banche. Sono chiuse e non riapriranno gli sportelli fino a quando la banca centrale afghana non riaprirà i battenti. La DE Afghanistan Bank è sotto il controllo degli Stati Uniti che hanno congelato 9,4 miliardi di dollari e  reso indisponibili i depositi. Chiaro l’intento, no? Insomma tutto ciò che oggi batte in ritirata è un bene, apre una prospettiva per gli afgani che non si sono venduti. Non era facile, né scontato tenere duro per venti anni.