Mark Zuckerberg ha preso ispirazione dal Metaverso quando, un giorno fa, ha annunciato di aver deciso di cambiare il nome del colosso Facebook in Meta: “In questo momento, il nostro brand è così strettamente legato a un prodotto che non può assolutamente rappresentare tutto ciò che stiamo facendo oggi, figuriamoci in futuro”, ha spiegato il 37enne. “Nel corso del tempo, spero che saremo visti come un’azienda del metaverso e voglio che il nostro lavoro e la nostra identità siano ancorati a ciò che stiamo costruendo. Il metaverso è la prossima frontiera. D’ora in poi, saremo al primo posto nel metaverso, non in Facebook”. Le singole piattaforme di proprietà della compagnia, Messenger, WhatsApp, Instagram e Oculus, conserveranno il loro nome ma dal primo dicembre le azioni della società verranno scambiate come “MVRS”.

Un nome diventato forse un po’ troppo ingombrante, soprattutto in seguito ai numerosi scandali e accuse di cui il famoso social è stato oggetto negli ultimi mesi. Soltanto un mese fa, la whistleblower Frances Haugen ha diffuso informazioni che testimoniano il fallimento di Facebook nel limitare la diffusione della disinformazione, dell’incitamento all’odio e alla violenza. Fallimento dovuto in parte ai limiti tecnologici e in parte alla mancanza di volontà di intraprendere azioni che potrebbero danneggiare i profitti della società.

Ma cos’è il metaverso virtuale che Zuckerberg vuole  costruire? Un internet mobile, a tre dimensioni, una realtà virtuale in cui muoversi, lavorare, fare acquisti sotto forma di avatar: “Il metaverso sarà il successore di Internet mobile. Saremo in grado di sentirci presenti – come se fossimo proprio lì con le persone, non importa quanto siamo distanti. Saremo in grado di esprimerci in nuovi modi gioiosi e completamente immersivi”. Occhiali per la realtà aumentata e visori saranno gli strumenti di questa nuova tecnologia. 

Ma Facebook non sarà solo in questo progetto ambizioso, anche Epic Games e Microsoft stanno lavorando in questa direzione: “Uno standard aperto. Serve interoperabilità”.