I leader mondiali sono a Glasgow, in Scozia, per radunarsi alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nota anche come COP26, dove verrà chiarito il loro impegno ad affrontare il cambiamento climatico con un taglio ambizioso ai gas di riscaldamento per prevenire ulteriori aumenti della temperatura globale.

La Conferenza si articolerà su due giorni di colloqui con più di 120 capi di Stato, seguita da due settimane di colloqui tra alti funzionari per elaborare piani ambiziosi per la riduzione dei gas serra, dopo gli accordi al ribasso ai colloqui sul clima del G20 che si sono tenuti a Roma.

La vera sfida è una questione di fiducia. Le relazioni chiave che hanno portato al successo la grande conferenza sul clima di Parigi nel 2015, hanno subito un duro colpo. La coalizione dell’alta ambizione delle economie in via di sviluppo e dell’Unione europea, che aveva spinto le cose in avanti nella conferenza di Parigi, adesso non ha più la forza che aveva. Cina, India e Russia, considerati grandi inquinatori insieme agli Stati Uniti, chiedono scadenze meno stringenti per azzerare le emissioni nocive.

La storia delle conferenze sul clima è una storia di fallimenti. Se bastasse un incontro per risolvere tutti i problemi della prevenzione del catastrofico riscaldamento globale, non ci sarebbe bisogno di ulteriori azioni. Al G20 non sono riusciti ad impegnarsi fermamente per eliminare gradualmente il carbone, uno degli obiettivi chiave dei negoziatori del Regno Unito, e a ridurre le emissioni di gas metano. A Roma, i leader hanno promesso che le emissioni globali raggiungeranno lo zero “entro la metà del secolo o intorno alla metà del secolo”. Un linguaggio morbido rispetto a un più concreto 2050. Questo non è di buon auspicio per Glasgow.

Il summit abbraccia numerosi paesi: dai maggiori esportatori di combustibili fossili, come la Russia, Arabia saudita e Australia, ai grandi consumatori come Cina, Stati Uniti e India, alle nazioni ricche come Giappone e Francia e nazioni povere come l’Indonesia e il Brasile. Analizzando gli affari globali, qualche delusione è inevitabile e ogni nazione cercherà di screditare l’altra. Nei sei anni trascorsi da Parigi, sono emersi dettagli complessi inerenti all’implementazione dell’accordo che non sono stati ancora risolti e che potrebbero causare ritardi.

La sensazione è che il processo negoziale della Nazioni Unite non sia più adatto allo scopo. La necessità del consenso di 197 parti, considerando la natura giuridica e tecnica dei colloqui, in realtà lascia poco spazio per i negoziati reali. Ma questa conferenza non deve essere vista come una noiosa negoziazione  o chiacchere vuote, ma uno spazio per evidenziare la pratica che incoraggi l’azione. La crisi climatica è ormai così grave che bisogna attuare una vera riforma affinché i vari paesi mantengano gli impegni.

A Glasgow i paesi devono negoziare regole sulla trasparenza che permetterebbero alle Nazioni Unite di verificare cosa stiano facendo le varie nazioni per raggiungere i loro obiettivi. Ma i negoziati sulle regole che disciplinano il mercato del carbonio saranno tesi.

Il G20 ha simboleggiato l’impegno a raggiungere le emissioni zero agendo in questo decennio per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Ma questa promessa, che avrà un impatto nelle generazioni future, non è stata accompagnata da nessun piano chiaro.

Con oltre 1,5°C di riscaldamento, molte piccole isole subirebbero inondazioni dovute all’innalzamento del livello del mare e mareggiate più violente. Anche i paesi sviluppati con zone costiere sono però a rischio. Una minaccia dunque, che non è più astratta.

La COP1 si è tenuta nel 1995, e le emissioni di anidride carbonica sono ora superiori di 14 miliardi di tonnellate l’anno rispetto ad allora. Una battaglia sulla loro riduzione, significa anche una nuova fase del capitalismo che riguarda tutto il mondo. Un test questo decisivo per Glasgow.

I rapporti scientifici hanno dimostrato che è possibile stabilizzare il clima della Terra solo riducendo le emissioni di gas serra ad una media di zero (note come emissione netto zero). Questo significa che la transizione dall’energia dei combustibili fossili non è più una questione di se, ma di quando.