Premetto che la storia che racconterò è melanconica e tuttavia, lungi dall’essere melensa, cerco soltanto di raccontare un aneddoto che forse potrà allietare i lettori, in un siffatto clima di guerra.

Non avevo ancora quindici anni quando lessi il romanzo “Le querce di Albion” dell’americana Marion Zimmer Bradley*. Frequentavo il liceo classico, ed il clima era opprimente, soprattutto per la meschinità dei compagni della classe in cui ero capitata. Capii subito che quel romanzo, nonostante venga da sempre tacciato come “fantasy” fosse, in realtà, un accurato romanzo storico, ambientato nell’antica Roma, che non avesse nulla di fantasy (genere da me piuttosto aborrito), se non una rivisitazione dell’altrimenti ignota religione celtica preromana. La trama era un’appassionante storia d’amore impossibile tra un soldato romano e una sacerdotessa britanna, sullo sfondo dell’Impero dei Flavi. La storia incominciava con l’adolescenza dei protagonisti, sino a spingersi nei meandri dell’età adulta, dove i sogni della giovinezza s’infrangono. Prigioniera di una forzata uguaglianza modernista, parlai del romanzo alla mia professoressa di Storia dell’Arte, unica stella in giorni oscuri e d’incomprensione. E lei, sorridendo, mi disse che la Bradley aveva preso quella storia dalla Norma di Bellini, “un famoso compositore dell’Ottocento” (e pronunciò “Ottocento” con il suo accento genovese).

Da allora sono passati dodici anni e ieri, alle prove ante-generali riservate agli under30 (quelle che io scherzosamente chiamo “la prima dei poveri”) al Teatro Regio di Parma, ho visto la “Norma di Bellini”. L’opera è tornata in scena dopo 20 anni e, nonostante fosse una prova, ha riscosso un plauso immenso. il pubblico – quello parmigiano è noto per essere molto esigente, in termini di lirica – è esploso in un giubilo di gioia all’ingresso finale di Norma (Angela Meade), Stefan Pop (Pollione), Michele Pertusi (Oroveso) e Carmela Remigio (Adalgisa), ma anche John Matthew Myers (Flavio), Mariangela Marini (Clotilde).

Norma e Adalgisa avevano voci impareggiabili e hanno trasportato gli spettatori nei cori angelici della rosa mistica. Ma… i costumi, i costumi erano bellissimi, eppure… ottocenteschi. Ora, mi spiegate che senso abbia rappresentare i druidi da carabinieri? O Norma da dama del 1831? Certo, è la data di composizione dell’opera, ma Bellini l’aveva pensata in costumi storici… e sen’zlatro, Oroveso in veste regale celtica, e Pollione in veste romana, avrebbero dato più emozioni.

Personalmente, l’opera mi è piaciuta ma – non me ne voglia Bellini – mi nulla ancor oggi mi commuove come il romanzo della Bradley**. Sono passati due lustri e due anni, da quando lo lessi; nel frattempo, la mia prof di storia dell’arte è prematuramente scomparsa ed io ora insegno greco e latino in quello stesso liceo. Forse, le emozioni del romanzo della Bradley sono tutt’ora dovute al fatto che quella professoressa fu l’unica a incoraggiare la mia diversità (consistente nell’amare la storia quando tutti i miei compagni – nonostante fossero al classico- la odiassero…. Strani casi della vita). O, forse, semplicemente, perché la storia degli amori impossibili è sempre bellissima. E, antropologicamente, i contatti tra la virtus romana e la fierezza celtica appassioneranno sempre.

*Lessi poi che la scrittrice fu giudicata immorale e perseguita per dei crimini, peccato davvero, ma separiamo l’opera dall’autore (anche se rimarrà per me sempre inspiegabile come uno spirito capace di generare una sì tal narrazione, possa essere imprigionato in un corpo legalmente perseguibile…).  Per chi lo volesse leggere, comunque, il romanzo è stato ristampato con il titolo di “La casa nella Foresta” edito da Harper Collins, 2019.

**scrisse, a tal proposito, Diana L.Parxson, coautrice e redattrice del romanzo della Bradley: «Gli appassionati di opera riconosceranno nella trama una forte somiglianza con la storia della Norma di Bellini. Marion era stata una fan dell’opera sin da quando era una ragazza, e da adolescente aveva scritto un breve romanzo sul tema. Con questo libro ha finalmente avuto la possibilità di raccontare la storia per intero. Il libretto dell’opera era basato su un’opera teatrale francese dell’inizio del XIX secolo. Né il drammaturgo francese né il librettista italiano sapevano molto però della cultura reale dei druidi (nella scena iniziale, i druidi stanno conducendo un rituale al “dio della guerra celtico”, Irminsul, che in realtà è un albero sacro delle tribù germaniche), ma la musica è stupenda e la trama molto romantica. Marion ha trasferito molto sensatamente l’azione in Gran Bretagna di cui sapeva qualcosa.»

In copertina: la Bella Mano, di Dante Gabriel Rossetti