IERI COME OGGI, 59 ANNI FA

Domani au Fort d’Ivry

22 agosto 1962. Una Citroën D19, senza insegne e scortata da due motociclisti, lascia l’Eliseo e si dirige verso l’aeroporto di Villacoublay. A bordo della vettura c’è il generale de Gaulle, accompagnato dalla moglie, la famosa “tante Yvonne”. Il 3 luglio è stata proclamata, dopo una lunga guerra durata più di sette anni, l’indipendenza dell’Algeria. Ma l’OAS – Organisation Armée Secrète – ha giurato vendetta al generale, che considera un traditore della patria.

Nei pressi della rotonda del Petit-Clamart lo attende il commando allestito dal colonnello Bastien-Thiry. Sono 12 uomini armati di mitragliette e bombe a mano. Mentre il crepuscolo avanza la Citroën presidenziale sopraggiunge. Il colonnello, da lontano, leva in alto un giornale. È il segnale: “Aprite il fuoco!” Il commando spara all’impazzata, esattamente 187 colpi in tutto. La vettura di de Gaulle è colpita 14 volte, anche alle gomme. Ma sono gomme speciali, che mantengono la pressione almeno per un breve lasso di tempo. L’esperto autista accelera con violenza, nessuno è ferito e la macchina riesce a sottrarsi all’attacco. De Gaulle anche questa volta si salva. L’OAS ha fallito il bersaglio.

Le indagini di polizia sono frenetiche e condotte con ampiezza di mezzi. Coloro che hanno osato attentare alla vita del capo dello Stato debbono essere catturati e puniti. Dopo parecchi giorni alcuni congiurati incominciano a cadere nella rete. Qualcuno parla. Ne conseguono altri arresti ma manca sempre l’organizzatore del complotto. Il 17 settembre viene arrestato il tenente colonnello dell’aviazione Jean-Marie Bastien-Thiry. 35 anni, ingegnere, una moglie e tre figli. Considera de Gaulle un dittatore e un tiranno, un capo illegittimo della Nazione, e un traditore. Pensa che ucciderlo sia un supremo atto di giustizia. Interrogato dalla polizia, nega dapprima con ostinazione. Poi, all’improvviso, confessa.

Il suo processo si apre il 28 gennaio 1963 al Forte di Vincennes. Bastien-Thiry non cura di difendersi e pronuncia all’indirizzo del capo dello Stato le accuse più gravi. Si paragona al conte von Stauffenberg, che il 20 luglio 1944 aveva tentato di uccidere Hitler. Lo chiama sprezzantemente capo “di fatto”, dunque non di diritto; lo accusa di avere abbandonato i francesi d’Algeria al loro destino. Il generale non perdonerà queste offese.

Il 4 marzo giunge l’inevitabile condanna a morte. Rimane un’ultima speranza: la grazia, concessa da colui che il condannato voleva uccidere. I difensori alla disperata giocano la carta psichiatrica: possono infatti provare che Bastien-Thiry è stato sottoposto a trattamento medico per depressione.

De Gaulle è incerto ma alla fine si decide a negare la grazia. L’attentatore ha fatto sparare su una macchina dove c’era una donna (“tante Yvonne”), ha assoldato degli stranieri (ungheresi, legionari) e… ha diretto l’azione da lontano.

L’11 marzo al Forte d’Ivry alle ore 6.39 del mattino Bastien-Thiry è passato per le armi. “La raffica lo attraversò, senza toccarlo” scriverà un poeta. E sarà l’ultima condanna a morte eseguita in Francia mediante fucilazione. L’ultima in assoluto toccherà invece all’assassino Hamida Djandoubi, ghigliottinato all’alba del 10 settembre 1977 a Marsiglia, dopo che il presidente Giscard d’Estaing avrà rifiutato la grazia.