Arce, Lazio. Venerdì 1° giugno di 21 anni fa, la diciottenne Serena Mollicone si sottopose a una radiografia, poi acquistò pane e pizza per più persone, quindi scomparve. Fu ritrovata cadavere la domenica successiva, in un bosco a 8 km, in una zona precedentemente ispezionata. Giaceva supina, nascosta dietro un grosso contenitore metallico abbandonato, con una vistosa ferita vicino all’occhio sinistro e la testa avvolta in un sacchetto di plastica, naso e bocca avvolti da diversi giri di nastro adesivo. La dottoressa che effettuò l’autopsia, dichiarò che la ragazza potrebbe esser morta per asfissia, ma non con certezza, essendo, quella per asfissia, una morte che lascia pochissimi segni.

L’UACV (Unità Analisi del Crimine Violento della Polizia di Stato) indagò: fu arrestato il carrozziere Carmine Belli che, secondo il contenuto di un biglietto, quel 1º giugno 2001 avrebbe dovuto incontrarsi con Serena, ma fu prosciolto. Sette anni dopo, il carabiniere Santino Tuzi si suicidò, dopo aver dichiarato alla Procura che, quel venerdì del 2001, una ragazza dalla descrizione compatibile con quella di Serena, era entrata in caserma alle 11:00 e non era uscita sino a quando lui era rimasto, ovvero fino alle 14:30.

Nel giugno 2011 vennero iscritti nel registro degli indagati, con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere, l’ex maresciallo Franco Mottola, sua moglie e suo figlio Marco; il vice maresciallo Vincenzo Quatrale, accusato di concorso esterno in omicidio e l’appuntato dei carabinieri Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento.

Ieri, dopo una camera di consiglio durata quasi 9 ore, i giudici della Corte d’Assise di Cassino, hanno fatto cadere le accuse per l’intera famiglia Mottola e per gli altri due imputati.

Nonostante la Procura avesse sollecitato condanne fino a 30 anni, ventun anni dopo, un omicidio di una ragazza resta irrisolto. Dopo la lettura della sentenza alcuni hanno tentato di aggredire gli imputati, e sono intervenute le forze dell’ordine per riportare la calma.

La Procura ha quindi preso atto della decisione della corte, ammettendo però di avere fatto tutto il possibile in questi anni per arrivare ad una verità su quanto accaduto nella caserma dei carabinieri di Arce e annunciando che farà ricorso in appello.  “E’ una meschinità ma non ci fermiamo, la verità è ben altra”, ha detto lo zio di Serena, Antonio Mollicone.

Nel 2018 era stato dai (RIS) dei Carabinieri che l’omicidio di Serena era avvenuto nella caserma di Arce.

Una frattura a 154 cm da terra sulla porta della caserma fece pensare che proprio in quel punto l’assassino avrebbe sbattuto la testa della vittima, ma il fatto che la ferita sul sopracciglio sinistro della ragazza venne rilevata a 146 cm da terra, fece cadere le coincidenze.

Nel 2019 il padre della vittima, Guglielmo, dichiarò che, nella prima autopsia sul corpo di Serena, qualcuno asportò e fece sparire gli organi genitali, per “far sparire tracce biologiche compromettenti”. I nuovi accertamenti fatti dalla dottoressa Cattaneo avevano, inoltre, evidenziato che Serena era stata massacrata di botte: calci, pugni, fratture in varie parti del corpo, che prima autopsia non erano state evidenziate. Il padre della vittima aveva concluso sostenendo che nel 2001 quando Serena fu uccisa, c’era una “collusione tra la camorra che controllava lo spaccio della droga ad Arce e i carabinieri. […] I ragazzi morivano per overdose e i commercianti erano costretti a pagare il pizzo. Il sacrificio di Serena ha salvato Arce”. La ragazza si sarebbe recata in caserma per denunciare i traffici illegali di droga, ma proprio qui avrebbe trovato la morte, sopraggiunta, dopo brutali percosse, per soffocamento.