L’attrice e cantante “strappata” all’Inghilterra dalla Francia, 1.73 cm per 58 kg, divenne un’icona di stile. Frangia e capelli sciolti, quasi zero trucco sul viso. Il dress-code? Jeans larghi, a zampa di elefante, zatteroni, e qualche camicia, a volte in foggia rinascimentale, a volte extralarge, anche maschile. Qualche volta un tubino nero, mai stampe accese, mai gioielli esagerati. Certo, le immancabili ciglia anni ‘60, le fanno lo sguardo più profondo.

È stata trovata senza vita nel suo appartamento di Parigi, sorpresa forse da un malore che le è stato fatale, anche se la sera prima di morire, ha voluto restare da sola. A dicembre, avrebbe compiuto 77 anni. Era nata Inghilterra nel 1946, ed era divenuta stata un’artista ibrida, formatasi nella Swinging London degli Anni 60, dove ha seguito le orme materne di attrice teatrale nei musical, prima di approdare al cinema e infine alla musica francese in un percorso creativo completo e allo stesso tempo irregolare, come irregolare e trasgressiva è stata la sua giovinezza di diva imbronciata.

A 19 anni sposa il compositore inglese John Barry, autore delle musiche dei film di James Bond, da cui ha la prima figlia Kate Barry, nata nel 1967 e morta suicida nel 2013. Più tardi, sposa Michelangelo Antonioni, che la vuole per il film Blow-Up, dove girerà in topless una delle scene più audaci che la porterà alla ribalta. Infine, nel 1968, sul set del film francese Slogan, incontra il cantante e musicista Serge Gainsbourg, con cui inizierà un lungo sodalizio sentimentale e professionale che li renderà una delle coppie più celebri e trasgressive del jet set dell’epoca.

Slanciata e magra, provocante, solare, sottile, un cesto di paglia al posto delle borse: poi, nel 1984, su un volo per Londra si siede accanto a Jean-Louis Dumas, il presidente di Hermès, e gli racconta come vorrebbe la sua borsa. E così nacque la Birkin, un’icona di borsa in coccodrillo.

Sino al 2015 quando, conscia dei cambiamenti in termini di sensibilità animalista, la Birkin scrisse una lettera di suo pugno, chiedendo di ritirare le borse di coccodrillo dalla maison Hermès. Un trattamento crudele, quello riservato a coccodrilli e alligatori di cui la cantante era venuta a conoscenza attraverso un documentario, che illustrava i metodi utilizzati per macellare i rettili. Purtroppo, l’appello della Birkin non era stato ascoltato e, a distanza di otto anni, l’organizzazione no-profit a sostegno dei diritti animali People for the Ethical Treatment of Animals, anche nota con l’acronimo Peta, sta ora facendo pressione sulla casa di moda perché ritiri la borsa Birkin in pelle di coccodrillo.

Purtroppo, Hermes rispose negativamente, mentre per l’organizzazione no-profit si tratta di “onorare l’eredità” di Jane Birkin, che nel 2015 firmò la petizione ‘Mercy for Animals’ lanciata da Joaquin Phoenix in segno di protesta contro il maltrattamento degli animali. E, così, Peta insiste.