Per lui si prospettava un futuro di gloria, grazie alle innumerevoli vittorie paterne. Sarebbe dovuto divenire Imperatore succedendo al padre e principe succedendo alla madre, ma morì prigioniero all’età di ventun anni. Fu il figlio di Napoleone e Maria Luisa d’Austria.

Pubblicato su “Storia Verità” (ottobre-dicembre 2015)

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Napo ii bNapoleone II, François Joseph, Franz furono i nomi che gli vennero dati mentre il successo del padre andava verso la rovina; allontanato sempre di più dalla paterna identità francese, prigioniero degli austriaci, figlio e nipote di due Imperatori avversari fra loro, fu Imperatore, Duca di Reichstadt, Principe di Parma, ma sempre solo sulla carta. Se avesse ottenuto l’eredità paterna la storia d’Europa avrebbe avuto riscontri ben diversi. La Francia sarebbe tornata Impero, l’Italia, forse, non sarebbe stata unita. Ma la Storia non si fa coi se e, soprattutto, la scrivono i vincitori.

Napoleone divorziò da Giuseppina poiché gli serviva un’alleanza matrimoniale che lo legasse all’antica aristocrazia europea e, soprattutto, un erede. Così sposò la primogenita diciannovenne dell’Imperatore Francesco I, Maria Luisa d’Asburgo, propostagli da Metternich. Valeva bene, per gli Asburgo, sacrificare una principessa a colui che aveva soggiogato l’Europa per un’alleanza solo di facciata, in attesa della rovina dell’Imperatore di Francia. Al momento opportuno i parenti della sposa lo avrebbero lasciato solo nella sua sconfitta. Tenendo poi in ostaggio, fino alla morte, il suo erede, Napoleone II.

Napoleone era un uomo molto moderno per la sua epoca, sia sul piano sociale (basti guardare alle riforme attuate nel campo del diritto civile) che su quello privato. Aveva incoronato imperatrice Giuseppina dopo che era stata unita a lui da un rito fugace e solo vagamente religioso appena due giorni prima della cerimonia e aveva poi divorziato da lei senza pensarci due volte; anche con la rampolla della cattolicissima e reazionaria Austria non fu certo conservatore: amò a prima vista Maria Luisa (forse fu proprio questo suo comportamento progressista, tanto odiato e deplorato dalla Chiesa, a far si che la sposa successivamente si allontanasse da lui e rifiutasse di raggiungerlo all’Elba) e appena un anno dopo la loro unione, il 20 marzo 1811, centouno colpi di cannone, in una Parigi intessuta di gioia e speranza, festeggiavano la nascita del Re di Roma. “Lo invidio” disse Napoleone “la gloria lo attende, mentre io ho dovuto correrle dietro. Io sono stato Filippo, lui sarà Alessandro. Per afferrare il mondo, non dovrà che tendere le braccia.” Ma la Storia aveva decretato che la similitudine con Alessandro appartenesse semmai a Napoleone, con il suo immenso quanto bramato impero, mente per il piccolo era in serbo un destino ben più simile a quello di Alessandro IV (lo sventurato erede di Alessandro Magno che morì fanciullo.) Quella gloria sarebbe stata presto disfatta dalla bramosia di invadere un ultimo territorio, la Russia. Così, nel 1812, l’Imperatore aveva invaso il vasto impero dello zar trovando però Mosca incendiata e deserta. Le distanze, le terribili perdite, la ritirata tra le nevi e l’inseguimento russo mentre i napoleonici tentavano di passare il fiume Beresina, avevano fatto si che dopo quella terribile Campagna, la Grande Armée non esistesse più. 550mila soldati di tutti gli Stati soggetti all’Impero erano morti o prigionieri. Dopo la disfatta francese Metternich si presentò nel 1813 a Napoleone nelle malcelate vesti di arbitro, per annunciargli, in realtà, il prossimo voltafaccia dell’Austria. “Ah, Metternich, quanto vi ha pagato l’Inghilterra per farvi decidere a giocare questo gioco contro di me?” avrebbe domandato Napoleone durante il colloquio. Francesco I, vista l’impossibilità di un compromesso tra Francia e Russia, non si sarebbe curato della sorte della figlia e del nipotino e il matrimonio non avrebbe certo impedito la rottura dell’armistizio tra Francia e Austria. Per l’Austria era arrivato il momento di vedere rovesciato dal trono colui che aveva tenuto in scacco Europa. La Battaglia delle Nazioni a Lipsia, nell’ottobre del 1813, determinò il crollo dell’egida napoleonica in Europa. Napoleone non avrebbe mai più rivisto il figlio. Il 4 aprile abdicò in favore dell’erede, che era divenuto ufficialmente Napoleone II, ma ormai era stata restaurata la monarchia borbonica e Re Luigi XVIII, fratello, assieme al futuro Carlo X, del ghigliottinato Luigi XVI, era tornato in patria, vanificando la speranza che Napoleone II succedesse al padre. Francesco I d’Austria, pur riconoscendo la fragilità del nuovo Regno di Francia, non si batté minimamente per instaurarvi il nipotino sotto la reggenza della figlia. Luigi XVIII nel frattempo aveva accettato il giuramento di coloro che gli avevano permesso di riprendersi il trono, ovvero Talleyrand e Fouché. Entrambi nemici di Napoleone, entrambi opportunisti e arrivisti. Il vizio al braccio del crimine, avrebbe detto a proposito di essi Chateaubriand. Talleyrand sarebbe stato, assieme a Metternich, il più ferreo oppositore a qualsiasi ruolo politico di Napoleone II. L’antica aristocrazia europea reazionaria era tornata al potere e avrebbe cercato con tutte le forze di reprimere qualsiasi novello emergere della borghesia. L’assetto sociale improntato da Napoleone era comunque stato troppo forte per essere cancellato dai suoi detrattori (proprio per questo la ripristinata politica conservatrice si sarebbe in seguito dimostrata assai fragile all’emergere dei moti patriottici) ma non avrebbe più avuto ragion d’essere personificata in una figura quale era stato Napoleone e quale sarebbe voluto (e dovuto) essere Napoleone II. Dalla sua parte il piccolo, oltre a qualche dama premurosa ed alcuni letterati bonapartisti, ebbe solo una madre lontana ed un padre esiliato. Napoleone fu esiliato all’Elba mentre Maria Luisa e il figlio tornavano a Vienna. Da quel giorno sarebbe iniziata la prigionia dorata del piccolo Bonaparte.

Alla fine di febbraio l’Imperatore dei Francesi fuggì dall’Elba e, durante i Cento Giorni, chiese la restituzione di suo figlio, ma invano lo attese. Maria Luisa e il bimbo non furono lasciati partire. Il padre dell’ex Imperatrice precluse l’Impero al nipote e Waterloo fu la definitiva prova che una politica avversa non avrebbe mai permesso a quel bambino nato nella porpora di ottenere l’Impero creato da suo padre.

Il Congresso di Vienna, tra valzer e ricevimenti che celebravano la sconfitta del terribile corso e il suo esilio a Sant’Elena, finì per assegnare all’ex Imperatrice dei francesi, ritornata arciduchessa austriaca Maria Luisa, il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. I trattati di Fontanbleau e Parigi avrebbero dovuto legittimare la successione di reggenza di questi possedimenti in favore di Napoleone II, che sarebbe dovuto divenire Principe di Parma, ma a Vienna si fece pressione affinché il giovanissimo principe non succedesse alla madre. Il Ducato sarebbe dunque stato assegnato a Maria Luisa solo in vitalizio. Metternich era riuscito nell’intento di escludere, una volta per tutte da tutti i troni, quel bambino figlio del suo più temuto nemico. Maria Luisa partì quindi per il Ducato assegnatole senza il figlio. Francesco I le assegnò come capitano della sua guardia personale il fascinoso generale Neipperg, un fedelissimo dell’Impero asburgico, affinché le facesse dimenticare gli anni passati con Napoleone e l’eventuale volontà di rimettere il figlio sul trono di Francia. La duchessa s’innamorò perdutamente del generale, tanto che lo avrebbe segretamente sposato nella reggia di Colorno, dandogli due figli. Gli Asburgo erano dunque riusciti nel separare la madre dal figlio lasciando costui senza protezione e senza nessuno che parteggiasse per lui.

Napoleone II, rimasto solo all’età di quattro anni, fu chiamato Francesco poi Franz, a riprova della sua forzatamente unica appartenenza austriaca. Gli furono fatti dimenticare il padre, la Francia, l’Impero. Soprattutto gli fu negato di ricordare che egli era il Re di Roma. La sua nascita era stata accolta dal giubilo del popolo francese. La sua infanzia fu vigilata dallo sguardo del Metternich che gli rifilò precettori severissimi. Tra questi tuttavia Dietrichstein sembrò capirlo meglio degli altri, stupendosi dell’acume del giovinetto; non perse occasione per scrivere continuamente a Maria Luisa della di lui capacità di dissimulazione, cioè di far credere all’intera corte che si fosse ormai completamente dimenticato della sua Francia, quando, al contrario, sporadiche domande sparse gli permettevano di cogliere quante più notizie possibili sul padre lontano. Ne desiderava ancora, segretamente e con tutto il cuore, il ritorno, ma ne avrebbe avuto soltanto la notizia della morte. Napoleone morì il 5 maggio 1821, dopo aver mormorato, nel delirio dell’ultima notte, il nome del figlio. Nel suo testamento aveva espresso la volontà di fargli avere, quando avrebbe compiuto sedici anni, tutti i suoi affetti personali, ovvero medaglie, libri, stendardi e vessilli. Oggetti che Napoleone II non ebbe mai, per il crudo volere dell’Austria. Anche i 6 milioni di franchi, indirizzati a Maria Luisa e al figlio, non sarebbero mai giunti ai destinatari, con la scusa che Napoleone, osteggiato anche e soprattutto dalla Chiesa, aveva perso i diritti civili. Alla notizia della morte del padre Franz si disperò, ma continuò a sperare che presto avrebbe potuto vivere in libertà con la madre. Ma le sporadiche visite della duchessa di Parma a Vienna erano sempre rigidamente vigilate dalle guardie asburgiche che forse temevano un rapimento. Ad ogni partenza di Maria Luisa Franz la implorava di tornare presto, per liberarlo da quella dorata prigione austriaca. Ma il Neipperg, i due bambini e la nuova vita del Ducato avrebbero tenuto l’ancor giovane duchessa lontano da Vienna, ancora per molto tempo.

Schoenbrunn_Vorderansicht_800x350pxIl castello di Schönbrunn

Franz, ora duca di Reichstadt, divenne un giovane brillante e attraente. Bello come la madre, altero come il padre, non dimenticò mai d’essere il figlio di Napoleone. Non perse mai occasione di domandare, a coloro che avevano conosciuto e talvolta tradito suo padre, come Prokesh e Marmont, aneddoti riguardanti l’Imperatore dei francesi. Il 17 agosto del 1828 venne nominato dal nonno Capitano del reggimento dei cacciatori tirolesi dell’Impero, e in quell’occasione Maria Luisa riuscì a fargli nascostamente avere in dono la sciabola paterna. Sapeva tradurre alla perfezione i classici greci e latini ed eccelleva nella cavalleria.

Nel frattempo in Francia, a causa della non amata politica assolutistica ed anacronistica del re Carlo X, si era riacceso il bonapartismo. Auguste Barthélemy, un letterato francese filonapoleonico, si recò a Vienna per vedere il figlio del suo amato Imperatore e, nonostante gli fosse precluso ogni colloquio, riuscì a scorgere il giovane nella penombra del teatro. Degno di un eroe romantico, esile, alto e biondo, d’una bellezza infelice e rassegnata, nella quale si mescolavano l’ardore della vita e l’imminenza della morte, ma con negli occhi la speranza di un illustre prigioniero, ispirò l’opera Le Fils de l’Homme, drammatico elogio di un giovane principe che non sarebbe mai divenuto re. Opera che costò al poeta, per decreto dei Borboni, la reclusione di tre mesi ed un’ammenda pecuniaria di 10mila franchi, ma le cui parole si rivelarono fatali. “Nipote di un Cesare e figlio di un imperatore/ Erede del mondo nascendo Re di Roma / tu non sei oggi più niente se non il figlio dell’Uomo”. La censura non represse il desiderio di chi avrebbe voluto Napoleone II sul trono di Francia. L’anno dopo, il fatidico 1830, durante le tre Giornate Gloriose di Parigi, la gente, come ricorderà Alexandre Dumas, gridava per le strade “Senza farlo dimenticare, il figlio varrà il padre!” e ancora “Viva Napoleone II!” e circolavano litografie raffiguranti Bonaparte nelle vesti del Passato e suo figlio in quelle del Futuro. Il re venne scacciato, il popolo esultava. Chateaubriand fu tra coloro che premettero per l’incoronazione del giovane erede di Bonaparte, assieme ad alcuni suoi fedelissimi, tra i quali Maria Luisa. “Sua madre gli ha dato il passato, suo padre l’avvenire.” Dirà l’illustre letterato, sostenendo che “al figlio della figlia dei cesari” per la corona basti “la consacrazione del pontefice.” Ma il 7 agosto dello stesso anno a salire sul trono fu Luigi Filippo ed il Governo austriaco, con disappunto del giovane prigioniero, riconobbe ufficialmente il regno francese. Ogni via per accedere al potere sembrava essergli sbarrata dai suoi stessi parenti. L’anno successivo anche in Italia scoppiarono violenti moti (nel modenese si avrà quello che vedrà protagonista e martire Ciro Menotti) e anche la duchessa Maria Luisa, pressoché sola data la recente morte di Neipperg, fu costretta alla fuga da Parma a causa degli spiriti esagitati dei repubblicani. Non appena ne ricevette notizia, Franz sellò il suo destriero e si mise in marcia per raggiungere il Ducato della madre e ripristinarne l’ordine. Ma Metternich diede il repentino ordine alle guardie di sbarrargli le porte di Vienna e impedirgli la fuga.

La Storia corre sui destini degli uomini e mai si volta su ciò che è compiuto. Ma è interessante soffermarsi un momento su come forse l’Italia, se a Napoleone II fosse stato concesso di appropriarsi dei possedimenti materni, non sarebbe andata ai Savoia e, non essendo i Borboni espropriati da un certo Garibaldi, forse non sarebbe stata unita. I parmigiani gridavano “Viva la Repubblica” ma anche, essendo Maria Luigia molto amata, nonostante fosse austriaca, “Viva la Duchessa!”. E la Duchessa era, secondo l’ordinamento napoleonico, Regina d’Italia. Se il giovane Bonaparte fosse divenuto principe di Parma, come era suo diritto, avrebbe potuto riappropriarsi del titolo di Re di Roma ed il Regno d’Italia, allora equivalente al Centro-Nord, sarebbe legalmente passato nelle sue mani. Ma al fato non si comanda, tanto meno alla Realpolitik condotta dal Metternich, che mai avrebbe potuto tollerare il successo del figlio di colui che aveva soggiogato, per breve tempo, tutta l’Europa. Il ministro detestava il ragazzo, non ne sopportava la parte dell’eroe tragico e lo chiamava, sprezzante “il commediante” (così come il pontefice aveva chiamato Napoleone). Quest’odio avrebbe generato dicerie, come la leggenda secondo cui, a determinare la morte precoce del giovane, sarebbe stato un avvelenamento da parte dello stesso Metternich. Vero è che questi negò al giovane, ormai moribondo, l’agognato viaggio a Parma, ove il clima più mite gli avrebbe forse offerto beneficio, con il pretesto che l’Italia fosse “una polveriera”; mentre ai francesi che si erano presentati al suo cospetto, domandando che a Franz fosse concesso di salire sul torno di Francia, aveva risposto che non avrebbe avuto senso “fare del bonapartismo senza Bonaparte”. Franz considerava Metternich il solo grande ostacolo tra lui e il trono di Francia, Metternich lo temeva poiché gli rammentava tutte le umiliazioni subite da Napoleone e tutta la politica contro la quale si era battuto. Aveva vinto, ma non aveva fatto i conti con l’erede del suo nemico, una presenza fisica ingombrante. Francesco I, rifiutandosi di rimandare Franz in Francia, disse che amava troppo il nipote per esporlo in campo aperto ai pericoli della politica.

Mentre a Parigi intellettuali come Chateaubriand e Victor Hugo, assieme ai fratelli di Bonaparte, premevano per il ritorno di Franz e a Vienna alcuni bonapartisti lanciavano coccarde tricolori al suo passaggio, durante l’inverno un male ben più infido e silenzioso si impadroniva del corpo del giovane. Si sentiva “bruciare dentro”, desiderava “bere tutto il mare” e pativa frequenti congestioni polmonari, tossendo sangue. Il 20 marzo 1832 per quel giovane bello, amato dagli estranei ma temuto dai parenti, alto e fiero, che era sempre stato alla testa delle parate militari con la sua austriaca divisa bianca, avvenne il suo ventunesimo, ultimo compleanno. Lo accolse ormai moribondo, trasferito a Schönbrunn, sognando invano quel promesso viaggio nella “sua” Italia. Terra che il padre gli aveva destinato, ma che il destino gli aveva perentoriamente tolto. Maria Luisa venne tenuta all’oscuro della salute del figlio, fino a che non fu più possibile negarle la gravità della situazione. Accorse allora a Schönbrunn agli albori dell’estate ove il figlio, ormai allo stremo, l’accolse tendendo le braccia, per poi ricadere sfinito sulla sua poltrona. Vedendolo, pianse e cadde svenuta. All’alba del 22 luglio, dopo avere invocato il nome della madre nel delirio, il re di Roma si spense per sempre. Avrebbe riposato per cent’anni nella Cripta dei Cappuccini, accanto a sua madre, che lo avrebbe raggiunto quindici anni dopo, omaggiata dalle violette che i parmigiani devoti tutt’ora le portano. Poi, il 14 dicembre 1940, il suo corpo sarebbe stato traslato nel Pantheon di Parigi, ove riposa tutt’ora accanto al padre. L’erede dell’Imperatore dei Francesi era tornato nella terra natia. Poco prima di spegnersi, nella sua stanza aveva voluto la monumentale culla con i putti e le vittorie alate che l’artista Prud’hon gli aveva costruito in occasione dei festeggiamenti della sua nascita. La nascita dell’aiglon, l’aquilotto di Francia. A chi, perplesso, gli aveva domandato il perché di quella volontà, rispose “Tra la mia culla e la mia tomba non c’è che un grande zero. La mia vita, la mia morte. Ecco tutta la mia storia.”

Quel giovane biondo, per metà francese e per metà austriaco, alla cui nascita si erano prostrate la Francia e parte dell’Italia, a cui tanto spettava e a cui tanto la sorte negò, fu e resterà per sempre l’aiglon, l’aquilotto, figlio dell’aigle Napoleone, che aveva volato sull’intera Europa, per quel breve periodo che pur pareva non dover finire mai. Se le ali dell’aquila paterna volarono così in alto da sfiorare, con le loro piume, le glorie celesti, quelle dell’aquilotto non furono mai spiegate; le corde dorate asburgiche le tennero strette e fu loro negata la brezza della libertà.

François Joseph Napoleon II, Imperatore, Duca di Reichstadt, Principe di Parma. Emblema di un mondo finito per sempre.

Chantal Fantuzzi

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Bibliografia:

  • Chateaubriand, De la Nouvelle proposition relative au bannisemente de Charles X et de sa famille. Paris, Le Normant, 1831.
  • Auguste Barthélemy – Joseph Méry, Le Fils de l’Homme. Bruxelles, H. Talier Libraire, 1829. Emmanuel
  • Augustin de Las Cases, Le Mémorial de Sainte Hélène, Paris, Barbezat, 1830.
  • Alessandra Necci, Il prigioniero degli Asburgo, Storia di Napoleone II re di Roma, Marsilio, 2011.