Questa è una short story (1953) del celebre scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke.
Siamo in un monastero tibetano dove i monaci passano a tutto il loro tempo ad annotare tutti i possibili nomi di Dio, poiché credono che l’Universo sia stato creato per questo fine e che, quando tutti i nomi saranno stati scritti, il mondo finirà.
Tre secoli fa i monaci crearono un alfabeto che permetteva loro di scrivere i nomi di Dio, e calcolarono che, considerando una lunghezza massima di 9 caratteri, questi fossero all’incirca 9 miliardi. Per moltissimi anni i monaci hanno scritto i nomi, uno dopo l’altro, a mano. Tuttavia un calcolo abbastanza preciso ha mostrato loro che con tale sistema antiquato non avrebbero potuto terminare il loro lavoro prima di 15.000 anni.
Allora i monaci decidono di “modernizzarsi”, noleggiano un grande computer e assoldano due tecnici occidentali per impostare la macchina e far girare i programmi. Dopo tre mesi, dopo miliardi di nomi elaborati e scritti, mentre il lavoro si avvicina al termine, i due informatici fanno una riflessione: “Se, quando tutti i nomi saranno stati stampati, non succede nulla, i monaci si arrabbieranno con noi!” Allora, astutamente, i due rallentano di proposito il computer, affinché la stampa finale degli ultimi nomi di Dio avvenga poco dopo la loro partenza per l’Occidente.
Essi partono in groppa a dei pony e sostano per la prima notte lungo il sentiero di montagna che dovrà condurli al campo d’aviazione, dove li attende l’aereo che li riporterà in patria. È una notte chiara e stellata e dovrebbe essere scoccata – così calcolano – l’ora in cui il computer arriva al termine del suo immane lavoro di stampa, avendo trovato il nove-miliardesimo nome di Dio.
“È l’ora”. “Ma guarda!”
Nel gran cielo nero le stelle, senza rumore, si spengono ad una ad una.