Negli ultimi anni, si è creduto ingenuamente che la ripresa del settore industriale, compreso quello automobilistico, potesse essere favorita da accordi politici volti a incoraggiare gli investimenti cinesi in Italia. Tuttavia, emerge ora con sorpresa che le condizioni imposte dalla casa automobilistica cinese Dongfeng, ampiamente sostenuta dallo Stato cinese, sono inaccettabili. Tra le richieste principali vi è l’obbligo di utilizzare Huawei per il supporto digitale e di implementare intelligenza artificiale cinese. Queste clausole, oltre a essere discutibili, non porterebbero alcun reale vantaggio allo sviluppo o all’occupazione locale, poiché ridurrebbero l’impatto economico per il sistema produttivo italiano ed europeo.

Inoltre, la Cina chiede che l’Italia si opponga all’imposizione di dazi UE sulle auto cinesi, esercitando un ricatto economico che mina la sovranità politica del Paese. Questo approccio sottolinea l’incapacità dell’Italia di elaborare una strategia politica, energetica ed economica coerente negli ultimi decenni.

La transizione ideologica verso la mobilità elettrica appare come uno strumento che la Cina sta sfruttando per ampliare la sua egemonia economica e politica. L’auto elettrica, simbolo di innovazione e sostenibilità, rischia di diventare il “cavallo di Troia” inserito nel mercato europeo, con l’obiettivo di destabilizzare l’industria dell’automotive, un settore che garantisce milioni di posti di lavoro e genera miliardi di tasse. Questo progetto non è semplicemente economico, ma anche politico, poiché la Cina mira ad aumentare la propria influenza su un’Europa che, con colpevole complicità, sembra accettare passivamente il suo ruolo di potenza dominante.

Il fatto che la Cina pretenda una politica accondiscendente in cambio di investimenti è un chiaro segnale delle sue intenzioni strategiche. Molti ancora oggi non riconoscono le profonde differenze tra un regime autoritario come quello cinese e le democrazie occidentali, sottovalutando il rischio che questo comporta sia a livello economico che politico.

Le forze politiche e istituzionali che supportano ciecamente la transizione verso una mobilità elettrica, senza comprendere le implicazioni più profonde, diventano complici di questo disegno cinese. Il Green Deal europeo, presentato come una soluzione per il futuro, potrebbe, se non ben gestito, favorire indirettamente l’espansione dell’influenza cinese nel cuore delle economie occidentali, minacciando la stabilità democratica e industriale del continente.

Questa dinamica era già evidente nel 2018, quando le autorità italiane dimostrarono un’apertura eccessiva verso accordi di collaborazione con il regime cinese, a partire dai governi Conte I e II fino all’attuale esecutivo. Le speranze riposte in un beneficio industriale sono, in realtà, un segnale di debolezza strategica.

Il declino culturale dell’Italia, quindi, non è solo questione di istruzione, ma di incapacità di comprendere e sviluppare uno scenario futuro. Non riuscire ancora oggi a identificare e valutare correttamente gli obiettivi della Cina rappresenta il vero fallimento della classe dirigente italiana ed europea, un peccato originale che rischia di compromettere la sovranità economica e politica dell’intero continente.