Esistono, da un lato, i poeti maledetti come Rimbaud e Verlaine. Dall’altro, invece, vi sono i poeti benedetti da Dio. Tra questi, oggigiorno, vi troviamo Emanuele Martinuzzi, Chantal Fantuzzi e Cristina Cappellini. Emanuele Martinuzzi è un poeta contemporaneo che ha pubblicato una raccolta ispirata al poeta stilnovista Folgore da San Gimignano, vissuto tra il 1270 e il 1332. [ Nota dell’editore]
intervista di Francesco Vannoni
Nella sua nuova raccolta ‘Intarsi’, uscita da Robin Edizioni per la collana ‘Libri per tutte le tasche’, Emanuele Martinuzzi ci fa addentrare in un viaggio interiore di rara finezza e sensibilità. Il giovane poeta pratese regala versi di speranza, ‘dipinge’ le parole per descrivere emozioni, sensazioni, sogni ed illusioni che si completano mirabilmente in un dialogo con le opere pittoriche di Andrea Bassani, scelte a corredo di questo libro.
Una ‘vertigine al limite della follia’ – come la definisce Sabina Perri nella prefazione – che si ispira ai ‘Sonetti de’ mesi’ di Folgóre da San Gimignano, senza riprenderne la forma tipica del sonetto né lo schema della rima, bensì trovando la propria dimensione in componimenti di cinque terzine.
Ma anche – e soprattutto – un’autentica e pura ‘dichiarazione d’amore’ alla poesia, vista come il senso di un percorso, intorno al quale sondare, vivere, conoscere e sperimentare ogni sentiero, con la curiosa umiltà che fa di Emanuele un contemporaneo ‘artigiano’ delle lettere.
Il suo, infatti, è un ‘gioco’ sempre sorprendente ed ogni volta unico, condotto con misura e rispetto, adatto a chi sa maneggiarle con delicata dolcezza e scavare nel profondo dell’animo umano, usando con maestria gli ‘attrezzi’ del sentimento, la forza della ragione e la luce del cuore.
Come sei arrivato a concepire questa nuova opera, e quali sono stati gli aspetti che più ti hanno colpito nella poetica di Folgóre da San Gimignano ?
“Mi sono imbattuto per caso nella lettura dei Sonetti de’ mesi, sublime lavoro di Folgóre da San Gimignano e anche se per sensibilità mi sono sempre sentito più affine alla poetica, alla lezione e al sentire del dolce stil novo, alla sua tensione verso la spiritualità, ai simboli angelicati come tramiti e passaggi verso un altrove, insomma alla immensa stagione che proviene da Cavalcanti e gli altri e che raggiunge il suo apice nell’universo poetico Dantesco, ho avvertito subito la necessità di scrivere timidamente poesie in sottile dialogo e connessione con quel mondo medioevale borghese, di cui Folgóre è illustre, intelligente e ispirato cantore. Un mondo antico, così apparentemente lontano seppur sempre affascinante per il nostro sentire, con quello stilema letterario che nei contenuti del Plazer ricerca e descrive il piacere mondano nei suoi frutti e nei suoi doni, che le stagioni naturali sanno dispensare ai cultori del bello e del piacevole: E di febbrai’ vi dono bella caccia/ di cervi, cavrioli e di cinghiari, corte gonnelle con grossi calzari,/e compagnia, che vi diletti e piaccia. Questa dialettica interna ai contenuti, tra poesia comico-realistica e dolce stil novo e anche alla forma del sonetto, si è resa più complessa, come passando attraverso un prisma irregolare, alla luce della mia singolare prospettiva contemporanea, che vive invece il dissidio tra spirito e materia, tra piacere e illusione, tra mondo naturale e mondi artificiali, nella forma di terzine dal verso libero, plasmato il sonetto come fosse creta da attualizzare in forme diverse, libere ed espressive più vicine ai canoni della modernità. In questo senso, addentrandosi nella poesia comico-realista e nelle sue origini, nei testi dei clerici vagantes, che erano definiti appunto chierici perché avevano preso gli ordini minori e potevano godere di alcuni privilegi ecclesiastici, ma che per condizioni sociali e economiche erano costretti e vagare in tutta Europa per seguire le lezioni universitarie che ritenevano più confacenti alla loro ricerca e al loro censo, scrivendo testi di goliardia o addirittura di satira o invettiva contro l’autorità, si può notare come sia così moderna questa goliardica e disincantata sensibilità, più moderna del mio lirismo astratto, dei miei simboli letterari che oscillano tra la ricerca di un qualcosa di spirituale e lo smarrimento tipico del contemporaneo, contraddizione in cui vivono e si alimentano le mie poesie. Quindi è stato un viaggio nel tempo l’essermi messo in colloquio con questo medioevo originario e sublime, connotato si potrebbe dire tra poesia comico-realistica e dolce stil novo, così la mia scrittura si è arricchita di più visioni e allo stesso tempo scissa in molteplici domande inattuali. Ogni mese è diventato un flusso di pensieri, emozioni e sentimenti, che le parole non trattenevano in un tempo determinato, forse al di là della storia, in una contrapposizione irrisolvibile tra città e campagna, umanità e meccanismo, comicità e senso del tragico, realismo e irrealtà”.
Qual è la connessione che avverti tra la poesia e il tempo, inteso ora come lo scandire delle ore, ora come il susseguirsi di stagioni e ritmi della natura?
“Questo lavoro poetico si può dire possa davvero essere una leggiadra riflessione sul tempo a più livelli. C’è un percepire il tempo in modo orizzontale, nel senso cronologico della storia che va dai grandi avvenimenti fino a quelli cosiddetti minori, che riguardano apparentemente solo il singolo, ma che possono invece avere un misterioso peso nell’economia del tutto e nella sua comprensione. C’è poi una concezione verticale del tempo, nel senso della temporalità nella prospettiva dell’eterno, in quella visione dello spirito che guarda con distacco alla vanità delle cose traghettando la propria fantasia in un al di là sognato, sperato e pensato, non con le sole forze della ragione, ma anche con la poesia delle fede. Infine c’è un tempo della coscienza, interiore, vissuto come flusso in cui passato, presente, futuro, si alternano e confondono in modo non cronologico, ma creativo, in cui i fenomeni, nel macrocosmo come nel microcosmo della storia, perdono la loro specificità e si influenzano a vicenda per insegnare forse che non c’è niente di marginale in un cuore che sente, in una mente che pensa e in uno spirito che spera. E questo senso del tempo sfaccettato, la sua nostalgia trasversale e la sua intima speranza, mi accomuna sottilmente a Folgóre da San Gimignano, perché nei suoi sonetti comici e realisti, ma tutt’altro che popolari, riecheggia la cavalleresca nostalgia per un’epoca cortese che non è più, con la sua aristocrazia nelle maniere e nel sentire, con la sua convivialità fraterna contraddistinta da un edonismo mai triviale, con la sua ironia bonaria e in un certo senso compassionevole sulla finitezza umana e i suoi desideri di gioia. I mesi passano di un tempo ricreato, che non è più e mai più sarà, attraverso le fondamenta che solo la poesia sa costruire nell’animo”.
Quali sono, a tuo parere, le ulteriori chiavi di lettura, visive ed emozionali, che le illustrazioni di Andrea Bassani, possono offrire alla tua opera?
“Nel medioevo i manoscritti o i libri antichi erano decorati con la pittura ornamentale della miniatura, simboli stilizzati che avevano senso come metafora di un mondo trascendente e che non avevano bisogno di avere connotazioni realistiche, ma essere solamente tramiti per i miniatori di un sapere spirituale e anche in un certo senso mezzo di organizzazione della società e della conoscenza a partire da una visione religiosa. Ho già avuto modo nella mia precedente raccolta “notturna gloria” di arricchire e impreziosire le mie poesie con delle opere pittoriche o dei disegni artistici. Così anche in questo lavoro e per motivi differenti ho creduto che questo anno passato in poesia, trascorso mese dopo mese, potesse acquisire colore, profondità e contenuto anche attraverso le corrispondenze simboliche tra diversi linguaggi espressivi, tra la poesia e la pittura. Poi ho notato subito come la leggerezza eterea di queste poesia si sposasse in modo interessante con il senso surreale e onirico delle opere di Andrea Bassani, creando suggestioni e corrispondenze molto rarefatte, in cui la materia dell’emozione diventava spirituale nel colore e nella forma, in cui il senso dello scorrere del tempo paradossalmente era dato proprio dalla sua cristallizzazione estetica. Così questo libro è diventato un viaggio tra intarsi di parole e disegni, un viaggio esteriore in ciò che si può osservare e allo stesso tempo interiore in ciò che è misterioso e inosservabile, ma ci abita e ci sovrasta come il cielo. Ci sono vari parallelismi, grazie proprio all’intersecarsi di più piani di comunicazione e di linguaggi, e questo credo contribuisca a creare quell’atmosfera di irrealismo-lirico contrapposta al realismo-comico di Folgóre da San Gimignano. C’è da dire che le bellissime opere di Andrea Bassani, a differenza delle miniature di cui ho parlato sopra, non sono visivamente intersecate con il testo delle poesie, ma ognuna lo precede, una specie di anticamera simbolica, un sipario di colori che apre alla rappresentazione delle parole, due viaggiatori che percorrono lo stesso anno in poesia, ognuno con proprio passo”.
‘Questi versi blaterati col silenzio ’ – citando ‘Febbraio – non sono invece il bisogno incessante di raccontare e dare voce a questo stesso silenzio?
“Da quando ho iniziato a pubblicare opere di poesia mi sono accorto che tutta la mia produzione poetica è stata segnata dal mio incontro letterario, umano, spirituale e emotivo con la teologia negativa, che ha rivoluzionato in me il senso con cui intendere il rapporto tra parola e silenzio, tra scritto e pagina bianca. La parola ha la capacità di comunicare proprio perché partecipa imperfettamente di quel silenzio affermativo, che in sé trattiene e porta alla vita tutte le parole. La parola della poesia non fa altro che tentare di tradurre questo senso indecifrabile in un qualcosa che lo rimanda attraverso la finitezza dei simboli. Il silenzio ha già in sé la voce di tutte le voci, il racconto di tutti i racconti. Non si può ascoltare il silenzio, ma in questa impossibilità lo si può vivere di rimando alle parole che ci toccano il cuore e che ci spogliano verso l’essenzialità. Alla fine abbandonarsi al silenzio o a una poesia è una piccola grande forma di saggezza, rispetto a quello che non si sa e non si può conoscere della vita e così della letteratura, che questa vita senza forma prova a trasfigurare nelle caduche forme delle parole. Personalmente amo molto lasciarmi cullare dalla quiete, magari facendo una passeggiata nella natura, dove i rumori degli alberi diventano le parole che si scrivono sul silenzio della nostra anima”.
“È concesso a pochi affacciarsi nell’universo dell’autore… – si legge nella prefazione – ma nello stesso tempo c’è una finestra aperta al nuovo e a un sentire differente”. Qual è, secondo te, l’insegnamento più grande che il tuo bagaglio poetico può aver tratto da questo nuovo lavoro e quale lato del tuo carattere ha fatto emergere maggiormente?
“Mi sento molto affine all’atmosfera dolce, sempre sul confine della fragilità, timida di poche parole ma essenziali, pregna di nostalgia e tenui speranze, che viene evocata nel susseguirsi di queste poesie. Credo di non aver ancora e del tutto imparato la splendida lezione che proviene dall’opera sublime di Folgóre da San Gimignano e che ha ispirato, per contrapposizione e in ascolto, questi versi. Così anche dalla forma del sonetto o delle terzine dantesche, che hanno per corrispondenze subliminali arricchito la mia scrittura, ho ancora molto da imparare e tanta forza comunicativa da assimilare. Anche se credo che l’unica modo per imparare veramente sia dimenticare e far diventare la poesia scritta emozione, carne, speranza, amore. La letteratura deve mostrarsi per ciò che è, vita ancora più intensa e profonda della vita stessa. Altrimenti la scrittura diventa un qualcosa di manieristico, un modo per comunicare il comunicabile e invece la poesia deve osare l’estrema forma di preghiera e trasgressione insieme, ossia provare a esprimere l’inesprimibile. Il cuore umano non parla con frasi nette, lucide, discrete, ma per contraddizioni, silenzi, illuminazioni”.
Di questo ‘calendario in versi’, qual è (e perché) il mese che senti a te più affine?
“Il mese e la poesia che sento più vicino e che amo di più in questa raccolta è settembre, non solo perché è il mese in cui sono nato, ma per la pacatezza del suo clima che sembra sempre sull’orlo tra due estremi, il senso di cambiamento e di piacevole incertezza, il sole più delicato rispetto all’estate ma ancora presente per buona parte della giornata, prima che sopraggiunga l’autunno col suo buio. Inoltre rileggendola davvero mi pare che in questa poesia abbia, senza volerlo, inserito verità che non oso spesso pronunciare sulla mia vita personale e sul mio legame unico, speciale e, a volte, lacerante con la poesia. E se il linguaggio non fosse/che questo rimasuglio di sublime,/fuoriuscito dal costato del mondo. Così comincia questo mese e questa poesia, parlando della radice che la parla, il linguaggio, e del suo essere creato, come il femminile, direttamente dal mistero che cinge il mondo. Nominato a essere labbra/ mi accingo a scrutare la notte/ dalla feritoia delle mie illusioni. Così si chiude questo spaccato di rarefatta desolazione, consolazione e illusione, attorno al potere della scrittura nel lenire certe ferite dell’esistenza e all’assurdità di dover accettare che perfino la poesia possa essere non altro che un narcotico rispetto all’insensatezza delle cose, o una preghiera inascoltata, che però prosegue il suo destino di nominare le cose e portarle alla luce di un abisso, nel solco della ricerca di un significato, che porti calore all’atomo opaco di questo pianeta in cui viviamo, e che porti senso al cuore tormentato da domande e mancanza di sentimenti autentici”.
Tornando per un attimo sul tempo declamato in poesia, vengono alla mente, tra gli altri, i versi di Alda Merini: “I poeti lavorano di notte, quando il tempo non urge su di loro, quando tace il rumore della folla e termina il linciaggio delle ore”.
Per quella che è la tua esperienza personale, la poesia si fa…trovare in ogni momento o ci sono degli istanti dove rimane più nascosta tra le pieghe del quotidiano?
“Potenzialmente la poesia è ovunque e in ogni circostanza, anche la più apparentemente lontana dai momenti aulici, con cui comunemente intendiamo il termine poesia, che per esempio il genio di Folgóre da San Gimignano con il suo spirito comico, con i suoi slanci di realismo e la sua allegria descrittiva, riesce a comunicarci compiutamente, questa presenza della poiesis anche in desuete prospettive, rispetto al lirismo o al sublime classico. Tutto dipende dalla nostra propensione all’ascolto delle muse, a farsi messaggeri di un qualcosa che ci parla incessantemente da tutte le cose e che non sempre siamo pre-disposti a tradurre o meglio a creare da quel nulla che circonda il linguaggio. Negli intarsi, irregolari e manchevoli, che compongono il quotidiano, c’è quella notte e quel silenzio, che si fanno strada tra il rumore e il caos per portare alla luce un verso chiarificatore. Mi ricordo di aver avuto la visita di parole di una poesia in qualsiasi momento, anche il meno opportuno, a lavoro tra un cliente e l’altro, mentre guido nel traffico cittadino, quando penso seduto sulla panchina di un parco, quando parlo al telefono e mi assento rapito da un’immagine, quando mangio e una frase mi fa compagnia per essere anch’essa metabolizzata, e potrei continuare ancora e ancora. Si scrive una poesia anche nell’attesa della scrittura, l’attesa è una forma di preparazione, affinché le parole trovino la strada per fuoriuscire dal cuore e arrivare alla voce del canto”.