Di Nicola Schulz Bizzozzero-Crivelli, curatore della rubrica Hic et Nunc che si occupa di psicologia, sanità e psicopatologia e della Prof.ssa Donatella Marazziti
Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, una ricorrenza purtroppo ancora estremamente necessaria se si guardano i fatti di cronaca, che parlano, nella sola Svizzera, nel 2023 di 13 femminicidi e 3 tentativi cui le donne sono sopravvissute. Fondamentale, al di là della retorica, è far presente che la violenza sulle donne non è solamente omicidio, episodio che è spesso la punta dell’iceberg di situazioni difficili, ma comprende anche una vasta gamma di abusi, tra cui la violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica e include abusi fisici, sessuali, stalking, minacce e molestie.
Ci si deve interrogare su che cosa può fare veramente la società, intesa come singole persone che stanno in coppia, come famiglie, come insieme di persone che possono venire a conoscenza di segnali di violenza domestica, come politica e come professionisti della salute mentale.
Atti di violenza di qualsiasi genere portano a conseguenze psicologiche a breve e lungo termine non solamente per chi li subisce ma anche per chi le vive accanto, dando vita al bisogno di una rete di supporto per tutti gli individui direttamente o indirettamente coinvolti. Lavorare sulla violenza di genere, per prevenirla e combattere, vuol dire quindi agire sul benessere dell’intera collettività.
Ma che cosa scatena, negli uomini, l’impulso di compiere atti violenti? Ne parleremo in un successivo articolo di Hic et Nunc!
Violenza sulle donne, non solo femminicidio
La violenza sulle donne, come accennato, non si esplica solamente nel femminicidio, riuscito o tentato, che è l’atto estremo di una violenza di genere spesso preceduto da anni di abusi psicologici, fisici o sessuali. È definibile come l’uccisione di una donna per motivi legati al suo genere, generalmente da parte di un partner intimo o ex partner. Prevenire i femminicidi, affrontando le cause profonde della violenza di genere e promuovere una cultura di rispetto e uguaglianza, è una sfida complessa che richiede un approccio multifattoriale, che coinvolge la società, le istituzioni, le politiche pubbliche e i singoli individui.
Vi sono anche altri fenomeni che fanno parte della violenza di genere, come violenza domestica (una delle più diffuse, dove le vittime spesso subiscono abusi fisici, psicologici o sessuali all’interno delle mura domestiche da parte di partner intimi o familiari), stalking e molestie (con molti casi che non vengono denunciati o che sono difficili da tracciare), e violenza sessuale (di nuovo non sempre denunciata).
Le conseguenze psicologiche della violenza domestiche sulle vittime
Riconoscere di essere vittima di violenza domestica spesso non è semplice, perché si ha a che fare con delle escalation graduali che fanno credere alla vittima che quanto vive sia normale e perché lo stigma sociale, la vergogna, la paura della reazione del partner, di non essere credute o di non avere accesso a protezioni adeguate, porta a non denunciare. Oltre al lato giuridico, è fondamentale anche quello di presa a carico psicologica, perché una donna che sopravvive a un femminicidio, è all’interno o riesce a uscire da una relazione caratterizzata da violenza domestica deve fare i conti con conseguenze piscologiche gravi, che vanno dal trauma a paura e sfiducia nei confronti delle relazioni.
Infatti, la violenza domestica può causare traumi psicologici profondi, con conseguenti disturbi come ansia, depressione, fobie e PTSD, con difficoltà nell’affrontare i ricordi traumatici e nel reintegrarsi nella società, a causa anche di uno stigma sociale ancora presente che porta le vittime a sentirsi isolate, vergognose e impotenti. Subire abusi può far sviluppare una paura persistente delle relazioni intime e una perdita di fiducia verso gli altri, oltre che minare l’autostima e la capacità di credere in una relazione sana.
I figli di donne vittime di violenza spesso si colpevolizzano
Anche le persone che circondano, in modo diretto o indiretto, la vittima di violenza spesso subiscono delle conseguenze e in taluni casi necessitano di interventi psicologici. In primis, i figli che vivono in contesti di violenza domestica sono particolarmente vulnerabili agli effetti psicologici, che possono variare a seconda dell’età, della gravità della violenza e delle circostanze specifiche. Possono sviluppare ansia, paura costante e un senso di insicurezza, e poiché temono per la propria incolumità e per quella dei genitori, vivono in uno stato di allerta permanente. Nei bambini che crescono in famiglie violente è spesso presente la depressione, al contempo essi possono sentirsi responsabili per la violenza che avviene in casa, credendo erroneamente che fosse causata da qualcosa che hanno fatto. Crescere con l’esposizione alla violenza li può rendere confusi riguardo a cosa sia normale in una relazione e portarli a sviluppare un’immagine distorta di cosa costituisca l’amore e il rispetto.
I più giovani che vivono un contesto di violenza domestica possono diventare più inclini ad agire in modo violento in futuro, riproducendo i modelli di comportamento appresi, con problemi comportamentali come aggressività, disturbi dell’attenzione, difficoltà a relazionarsi con i coetanei e comportamenti antisociali.
Al tempo stesso, proprio come le vittime dirette, possono avere danni psicologici permanenti, come il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), con conseguenze che si estendono nell’età adulta, influenzando la capacità di instaurare relazioni sane e gestire lo stress.
Dalla famiglia alla società, tutti subiscono effetti psicologici in caso di violenza di genere
Anche gli altri membri della famiglia, come genitori, fratelli, sorelle e altri parenti stretti della vittima di violenza, sono vittime di problematiche psicologiche connesse alla situazione, che vanno da situazioni di stress cronico, ansia e preoccupazione per la sicurezza della vittima e per l’impatto della violenza sulla propria salute mentale ed emotiva, a senso di impotenza, con frustrazione, vergogna e colpa, sino a rimorso e depressione per non essere in grado di fermare gli abusi o aiutare adeguatamente la vittima. Nei casi gravi si arriva alla distruzione di legami famigliari, magari a causa del conflitto tra le parti coinvolte o della difficoltà di gestire il trauma condiviso. Se si verifica un femminicidio, i familiari sopravvissuti possono sentirsi devastati e sopraffatti dal trauma.
Anche le reti sociali e la comunità di una famiglia possono essere colpite dalla violenza domestica e dai femminicidi. Gli amici e i vicini che sono a conoscenza della situazione o che assistono agli effetti della violenza possono affrontare difficoltà psicologiche. Quando avviene un femminicidio, può causare uno shock profondo nella comunità e tra gli amici, specialmente se la vittima era ben integrata nel tessuto sociale. Le persone possono provare incredulità e difficoltà ad accettare che una tale tragedia sia accaduta e gli amici o i colleghi che hanno assistito alla violenza o che hanno cercato di intervenire, ma non sono riusciti a evitare la tragedia, possono sviluppare disturbi emotivi come ansia, depressione e disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Dopo un femminicidio o un episodio grave di violenza, può esserci un ritiro sociale da parte di familiari e amici che si sentono sopraffatti dalla situazione, o dalla paura di rimanere coinvolti in un altro episodio violento, un isolamento che può a sua volta peggiorare ulteriormente il loro malessere psicologico.
Come si può intervenire? Servono prevenzione, educazione e interventi multidisciplinari
Cosa si può fare, dunque, ad ogni livello, per lottare contro la violenza sulle donne e le sue gravissime conseguenze su tutti coloro che ne sono coinvolti e sull’intera società, che come visto non si presentano solamente nel caso in cui ci sia un femminicidio ma ogni qualvolta una persona subisca degli abusi e degli atti condannabili? Si deve lavorare sulla prevenzione e la sensibilizzazione, sia rivolte alle donne che agli uomini stessi, sul trattamento psicologico di chi ha subito violenza, di chi l’ha vissuta e anche di chi l’ha perpetrata, oltre che su misure di supporto concreti e accessibili per le vittime e su interventi legali efficaci. È importante promuovere una cultura del rispetto e dell’uguaglianza di genere nelle scuole e nelle famiglie, con programmi educativi che sfidano gli stereotipi di genere e insegnano la gestione sana dei conflitti per contribuire a prevenire la violenza prima che si manifesti. Sono cruciali campagne pubbliche che mettano in evidenza i segnali di abuso, sottolineano i diritti delle donne e le risorse disponibili per le vittime.
Inoltre, l’intera società deve essere sensibilizzata sull’importanza di denunciare e intervenire in caso di violenza domestica, superando la mentalità che porta a non immischiarsi, per portare a una maggiore responsabilizzazione sociale: amici, parenti, vicini di casa possono essere fondamentali nella segnalazione di atti di violenza, per fermare gli abusi e prevenire una escalation.
Fondamentali sono l’empowerment e l’autonomia decisionale delle donne, se è vero che una delle cause più frequenti di violenza domestica è la dipendenza economica della vittima dal partner violento: si devono promuovere politiche che favoriscano l’indipendenza economica delle donne, come l’accesso a opportunità lavorative e supporto per le madri single, e va garantito che le donne possano esercitare pienamente i loro diritti, prendere decisioni indipendenti e avere accesso a risorse economiche e sociali aiuta a proteggere le vittime dalla violenza.
Il nostro ruolo come psicologi è cruciale nella prevenzione, trattamento e supporto nelle situazioni di violenza di genere e femminicidio.
L’educazione alla parità di genere e alla gestione sana delle emozioni è fondamentale per prevenire comportamenti violenti. Gli psicologi possono contribuire a programmi educativi nelle scuole e nelle comunità per sensibilizzare sull’importanza della non violenza, della gestione delle emozioni e della risoluzione pacifica dei conflitti. I programmi di prevenzione dovrebbero incoraggiare modelli positivi di mascolinità, che non si basano sulla superiorità o sul controllo, ma sul rispetto reciproco e sull’autocontrollo.
Fondamentali sono anche il supporto alle vittime di violenza, per aiutarle a ricostruire l’autostima, acquisire consapevolezza dei rischi e sviluppare strategie per proteggersi, ed anche al contorno. Il lavoro attraverso consulenze psicologiche può essere utile a superare i traumi emotivi, costruire strategie di coping e prendere decisioni informate sul loro futuro.
Quale può essere il ruolo degli psicologi?
Gli psicologi hanno un ruolo centrale nell’intervenire con gli uomini che hanno comportamenti violenti, con terapia individuale o gruppi di supporto, focalizzandosi sulla gestione dell’aggressività, la comprensione dei fattori che scatenano la violenza, e la responsabilità personale. Nel caso in cui il perpetratore soffra di disturbi psicologici, è importante che venga indirizzato verso un trattamento adeguato (ad esempio, un trattamento per il disturbo antisociale, per quello narcisista, eccetera). Dovrebbero lavorare insieme ad altri professionisti, come psichiatri, per una valutazione completa e un trattamento integrato.
Anche la terapia familiare e di coppia può essere utile per affrontare le dinamiche disfunzionali che portano alla violenza. Tuttavia, è fondamentale che la donna non sia messa in una situazione di pericolo durante il trattamento, quindi in caso di violenza, la terapia dovrebbe concentrarsi prima sul supporto alla vittima.
Infine, gli psicologi possono collaborare con le forze dell’ordine e le organizzazioni locali per monitorare situazioni di abuso e intervenire tempestivamente, utilizzando le loro competenze nel valutare i rischi e la pericolosità di situazioni violente. Possono inoltre svolgere un ruolo importante nell’influenzare le politiche pubbliche sulla violenza di genere, promuovendo leggi e iniziative che proteggano le donne dalla violenza e che promuovano l’educazione al rispetto e alla parità di genere.
Nicola Schulz Bizzozzero Crivelli, Department of Medical and Experimental Medicine, Section of Psychiatry and Department of Neurosciences, Department of Psychiatry, University of Pisa. Degree in Psychology, Degree in Science of Tourism, Degree in Political Science and International Relations, and Master in Criminology. Ending the specialization in Clinical and Dynamic Psychology.
Assistant of psychiatrist Donatella Marazziti, a psychopharmacologist, and Medical Director of the Azienda Ospedaliera Pisana (AOU) and Professor at the University of Pisa, Pisa, Italy, and at the Unicamillus University of Rome, Italy.